LINEE GUIDA DEL CONCORDATO STRAGIUDIZIALE

L’impresa in crisi e i creditori possono stipulare un concordato stragiudiziale, vale a dire un contratto atipico finalizzato al salvataggio economico dell’impresa che si basa, principalmente, su clausole di remissione totale o parziale del debito dell’impresa. In pratica tale concordato si risolve nella ricerca del consenso dei creditori ad un progetto di salvataggio dell’impresa attraverso una serie di accordi a contenuto dilatorio e/o remissorio e aventi come finalità immediata la rimozione dello stato di crisi.

I rischi di questo concordato sono legati all’eventuale successivo fallimento dell’impresa. Il creditore stipulante va infatti incontro in tal caso a due rischi: la possibile revocatoria fallimentare dei pagamenti da lui ricevuti e quello di rispondere a titolo di concorso nel reato di bancarotta semplice.

Il concordato stragiudiziale è concluso tra l’impresa in crisi e i creditori che intendono aderirvi. Normalmente è difficile che l’impresa riesca a trovare l’accordo con tutti i creditori, in quanto i creditori più forti (per ammontare del credito o per importanza nella vita della impresa) guidano la contrattazione, conoscendo meglio la situazione e potendo contare su un notevole potere di convincimento.

Il concordato stragiudiziale è caratterizzato, in assenza di disciplina legale, dalla più ampia autonomia di forme in quanto l’accordo può essere unitario e risultare da un unico documento oppure può essere concluso mediante una pluralità di contratti indipendenti ma collegati e reciprocamente condizionati.

 

Si ritiene che la proposta di concordato stragiudiziale debba contenere i seguenti elementi minimi:

  1. l’esplicito riferimento che si tratta di un concordato stragiudiziale;
  2. l’indicazione concreta dell’accordo raggiunto con i creditori (indicazione della percentuale);
  3. la clausola di tacitazione dei creditori, con cui si dichiara che non avranno più null’altro a pretendere;
  4. l’indicazione che tale proposta è stata formulata a tutti i creditori con i quali si sta cercando o si è raggiunto già un accordo in tal senso.

 

Con il contenuto sopra indicato il creditore può provare la sua buona fede ed evitare, in caso di successivo fallimento, i rischi di revocatoria o l’accusa di concorso in bancarotta.

In ogni caso la società sottoposta a Concordato Stragiudiziale potrà raggiungere con uno o più creditori aziendali un accordo per rendere inesigibili i crediti per un determinato periodo di tempo (“pactum de non petendo”) o per ottenere una moratoria degli stessi. In tal modo l’impresa può disporre di un lasso di tempo utile per organizzare il risanamento o per poter trovare le fonti di finanziamento necessarie all’adempimento delle obbligazioni assunte.

Al di fuori di tali accordi, l’effetto può essere raggiunto anche con una dichiarazione unilaterale del singolo creditore all’impresa.

La giurisprudenza in un primo momento riteneva valido il pactum de non petendo solo se stipulato con tutti i creditori; alla fine ha però ammesso la sua validità anche se concluso solo con alcuni creditori (Cass. 28 ottobre 1992 n. 11722), ad esempio con i creditori nei cui confronti vi è una esposizione particolarmente importante. Il rischio di un accordo parziale è comunque quello che i creditori non coinvolti nell’accordo potrebbero proseguire con le loro azioni esecutive nei confronti dell’impresa, aggravando il suo stato di crisi.

 

Nel caso che ci occupa il ceto creditorio verrà suddiviso in due classi e così:

  • i lavoratori dipendenti dell’azienda ed i creditori privilegiati, le cui ragioni verranno soddisfatte integralmente;
  • i creditori chirografari, cui verrà sottoposta una proposta di pagamento parziale.

Provvederemo a verificare la corretta classificazione di tutti i fornitori aziendali, richiedendo la necessarie visure camerali di supporto.

 

Successivamente all’invio della proposta di concordato stragiudiziale, si dovranno valutare le adesioni che verranno espresse e medio tempore ci si dovrà astenere dal dare seguito a pagamenti non autorizzati, in quanto la fase del pagamento è subordinata al buon esito della proposta.

Si intendono ora chiarire i principi su cui dovrà poggiarsi l’instaurando concordato stragiudiziale e così:

 

(1) Verifica dei dati aziendali di partenza

Il professionista, sia nel piano attestato, sia nell’accordo di ristrutturazione dei debiti, quanto nei concordati stragiudiziali attesta anche che i dati di partenza sono attendibili. Conseguentemente, egli deve verificare la correttezza delle principali voci e l’assenza di elementi che inducano a dubitare della correttezza delle voci residue.

La legge non dà alcuna indicazione circa il grado di legittimo affidamento che l’esperto può riporre nei dati fornitigli dall’imprenditore, né prescrive espressamente che egli certifichi la “veridicità dei dati aziendali”, come è invece richiesto al professionista che redige la relazione che accompagna la domanda di concordato preventivo (art. 161 L.F.); d’altro canto la legge non prescrive che la veridicità di tali dati sia accertata, con funzione di garanzia per i terzi, da altri soggetti.

La circostanza che l’attestazione (seguita, nel caso degli accordi di ristrutturazione, dall’omologazione), esenti da revocatoria gli atti in esecuzione del piano, con ciò depotenziando un importante rimedio a tutela dei creditori (l’azione revocatoria), impone tuttavia di ritenere che l’esperto debba verificare la sussistenza dei presupposti di tale esenzione, assumendosi l’obbligo di verificare con diligenza i dati di partenza. L’attestatore assume, anche con effetti nei confronti di terzi del tutto estranei (i creditori di un eventuale futuro fallimento), una funzione di garante della serietà del piano.

Sarebbe infatti irragionevole se la legge accordasse l’esenzione da revocatoria ad atti compiuti in esecuzione di un piano in apparenza perfettamente ragionevole, ma fondato su dati che nessuno ha verificato, senza offrire ai creditori la contropartita della responsabilità dell’attestatore (gravemente) negligente. Ciò vale anche per gli accordi di ristrutturazione, dal momento che – sebbene l’accordo debba essere omologato – la relazione del professionista è comunque essenziale per porre il giudice nella condizione di omologare l’accordo.

Ferma restando l’esenzione da revocatoria per chi abbia fatto legittimo affidamento sul piano (con l’ulteriore condizione, ove si tratti di accordo di ristrutturazione, che sia intervenuta l’omologazione), il professionista attesta anche l’attendibilità dei dati di partenza. Ciò non lo rende certo automaticamente responsabile in caso di difformità fra i dati da lui attestati e quelli reali, ma gli impone un elevato standard di professionalità e di cautela, del resto coerente con gli effetti legali della sua attestazione.

Data l’impossibilità, specialmente nelle imprese di dimensioni medio-grandi, di eseguire una completa verifica di tutti i dati aziendali in tempi ragionevoli e con costi non esorbitanti, il professionista dovrà porre particolare attenzione:

(a) agli elementi di maggiore importanza in termini quantitativi, con particolare riferimento, in considerazione dell’importanza dei flussi di cassa attesi, alle componenti del capitale circolante;

(b) agli elementi che presentino profili di possibile rischio ai fini dell’attestazione;

(c) all’insussistenza di elementi che destino sospetti circa la correttezza e l’affidabilità delle rappresentazioni contabili dei fatti di gestione.

Lo standard di diligenza nell’esecuzione di tali verifiche dipende dalle circostanze concrete. All’uopo potranno essere utilizzati anche i principi e le prassi di revisione consolidati, declinati tuttavia in base alle caratteristiche dell’impresa e alle sue dimensioni.

Ne consegue che:

(1) in presenza di dati forniti unicamente dal debitore, senza precise assunzioni di responsabilità da parte di soggetti indipendenti e qualificati (quale il soggetto eventualmente incaricato del controllo contabile o esperti nominati ad hoc per la valutazione di specifici cespiti), il professionista si assume l’integrale responsabilità dell’attendibilità dei dati aziendali;

(2) in presenza di dati recenti verificati da un revisore, è legittimo per il professionista fare affidamento sui dati fornitigli.

 

(2) Verifica sull’andamento della proposta concordataria.

Il monitoraggio sull’andamento del piano è rimesso, in prima istanza, all’impresa stessa, e dunque al suo organo amministrativo. Tuttavia, allorché il piano sia particolarmente complesso e la dimensione degli interessi in gioco lo giustifichino, può essere opportuna la creazione di un “comitato tecnico”, composto da due o più professionisti di fiducia dell’impresa e dei creditori, che periodicamente verifichi l’attuazione del piano e il conseguimento dei suoi obiettivi. Tale comitato, pur non riducendo la responsabilità degli amministratori, avrebbe il vantaggio di ridurre l’asimmetria informativa fra l’impresa e i creditori che hanno consentito a sacrifici, assicurando loro un flusso informativo costante, tempestivo e imparziale, senza tuttavia provocare un coinvolgimento nella gestione che può, a certe condizioni, essere inopportuno ed è generalmente non desiderato dagli stessi creditori. Il comitato tecnico dovrebbe prontamente informare l’organo amministrativo e l’organo di controllo, sollecitando se del caso l’adozione di provvedimenti a tutela dell’impresa e dei creditori.

La prosecuzione nell’esecuzione di un piano non più idoneo al risanamento può essere fonte di responsabilità della società (oltre che degli amministratori) verso i terzi.

 

(3) In caso di impossibilità di portare a compimento il concordato stragiudiziale, altri strumenti idonei al conseguimento del risanamento aziendale.

Altro importante strumento è quello dell’accordo di ristrutturazione dei debiti, disciplinato dall’art. 182-bis e, per i suoi effetti, dall’art. 67, comma 3°, lett. e). Con tale disciplina la legge ha voluto parimenti concedere un’esenzione da revocatoria ad atti, pagamenti e garanzie, ma a fronte di un accordo stipulato da creditori portatori di una percentuale significativa del passivo (sessanta per cento) e omologato dal tribunale prima della sua esecuzione, allorché l’impresa è ancora in ristrutturazione. La differenza rispetto al piano attestato sta dunque nel fatto che la ristrutturazione postula necessariamente (e non solo normalmente) un accordo con i creditori e, soprattutto, nel fatto che il controllo del giudice è anticipato rispetto a quanto accade nell’ipotesi del piano attestato (in cui il controllo è solo eventuale e successivo, a fallimento dichiarato).

Anche in questo caso, il professionista svolge un ruolo fondamentale, in quanto deve attestare la “attuabilità dell'accordo stesso, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei”, la qual cosa implica, ancora, sia un giudizio di idoneità astratta dell’accordo (e del sottostante piano) a consentire il ripristino di condizioni di normale solvibilità del debitore (che, in conseguenza di ciò, tornerà a pagare in modo “regolare”, cioè secondo i termini originariamente convenuti, i creditori non aderenti all’accordo), sia un giudizio di realizzabilità in concreto, la qual cosa implica che i dati di partenza siano corretti e le ipotesi previsionali siano ragionevoli.

L’accordo di ristrutturazione dei debiti, a differenza del piano attestato, ha anche degli effetti protettivi immediati, seppur temporanei, non esaurendosi la sua funzione nell’esenzione da revocatoria: in particolare, il suo deposito presso il registro delle imprese comporta la sospensione delle azioni esecutive e cautelari dei creditori per un periodo di sessanta giorni.

Per le sue caratteristiche (tempi più lunghi e maggiore pubblicità), lo strumento dell’accordo di ristrutturazione dei debiti incontra maggiori difficoltà attuative laddove la durata del processo di risanamento e la sua esteriorizzazione possano pregiudicare i rapporti con clienti e fornitori, e dunque possano danneggiare l’impresa. Per questo motivo, lo strumento in questione è stato per lo più utilizzato in operazioni di ristrutturazione in presenza di vasti patrimoni immobiliari, nonché in operazioni di definizione concordata della crisi allorché l’impresa era già cessata (o l’azienda era stata affittata o ceduta a terzi). Tuttavia nulla esclude che questo strumento venga utilizzato anche a fini di salvataggio di imprese attive, e ciò avverrà soprattutto allorché la crisi d’impresa verrà finalmente percepita come una fase che, benché non fisiologica, fa parte delle normali vicende di un contesto imprenditoriale dinamico.

Ancorché manchi ad oggi qualunque pronuncia al riguardo, è sostenibile che il sindacato del giudice nella causa di revocatoria dell’atto per il quale si invochi una delle esenzioni dell’art. 67, comma 3°, sia più ristretto nel caso sia stato usato lo strumento dell’accordo di ristrutturazione (lett. e) rispetto al caso in cui sia stato usato lo strumento del piano attestato (lett. d). Ciò in quanto le due esenzioni, ancorché molto simili nella loro struttura, hanno ad oggetto fattispecie parzialmente diverse: atti inclusi in un accordo di ristrutturazione omologato, in un caso, e atti inclusi in un piano che un professionista abbia attestato come idoneo al risanamento, nell’altro caso.

In sostanza, la presenza di un vaglio omologatorio e la soggezione ad una preventiva pubblicità impedirebbero al giudice della revocatoria, in caso di fallimento dichiarato a seguito di un accordo di ristrutturazione, di valutare nuovamente se sussistono i presupposti dell’esenzione, mentre tale valutazione potrebbe essere fatta con maggiore ampiezza in caso di fallimento dichiarato a seguito di un piano attestato.

È impossibile, per ovvi motivi, dare qualsiasi indicazione definitiva su questo argomento, né questa sarebbe la sede adatta. Preme infatti sottolineare che la circostanza che le esenzioni possano operare diversamente per i piani attestati e per gli accordi di ristrutturazione non può incidere sulle modalità di redazione del piano o dell’accordo, che rimangono uguali in entrambi i casi: l’obiettivo delle presenti Linee-guida è infatti quello di contribuire alla redazione di piani che abbiano le maggiori probabilità di successo e che, in caso di insuccesso, proprio per la qualità del piano, possano proteggere gli atti compiuti in loro esecuzione dall’azione revocatoria, anche di fronte ad un sindacato del giudice giustamente rigoroso. L’insuccesso del piano, benché sia sempre possibile, è un’eventualità che l’impresa e i suoi professionisti devono fare quanto in loro potere per evitare.

 

(4) Osservanza del principio della “par condicio creditorum”

Successivamente alla proposta di concordato stragiudiziale l’Organo amministrativo della società sottoposta a Concordato Stragiudiziale dovrà attenersi scrupolosamente alle direttive contenute nella presente relazione illustrativa e non dare corso a pagamenti di fornitori non autorizzati ovvero in percentuali difformi rispetto a quelle indicate.

Le condizioni dovranno essere omogenee per classe e rigide, poiché diversamente verrebbe meno il buon esito della proposta. Dovranno essere bandite iniziative arbitrarie e non previamente concordate con lo staff di professionisti coinvolti.

 

 (5) Raccomandazioni per l’Organo Amministrativo:

Il risanamento economico e finanziario può avvenire solo in un contesto di corretta gestione societaria, pena la sua contestabilità ex post e la responsabilità di chi lo ha tentato. Conseguentemente, qualora la società si trovi in una situazione di perdita del capitale sociale rilevante ai fini degli artt. 2447 e 2482-ter c.c. e dunque in una condizione che può generare il suo scioglimento, gli amministratori devono dar corso alla convocazione dell’assemblea nei termini di legge (non oltre trenta giorni dalla piena conoscenza della perdita, ai sensi dell’art. 2631 c.c.), e il piano può essere messo in esecuzione solo se il capitale sociale viene riportato ad una cifra non inferiore al minimo legale, mediante aumenti di capitale (anche con versamento dilazionato, limitatamente al 75% della quota capitale), rinunzie a crediti, conferimenti, ecc.

Si sottolinea, per porre nella giusta luce il problema nonché le sue possibili soluzioni, che: (a) la situazione di crisi che rende necessario il piano di risanamento non sempre comporta anche una perdita rilevante ai sensi dell’art. 2484 n. 4) c.c.; (b) quando tale perdita vi sia, l’assemblea che sia stata convocata per prendere atto delle perdite può, in pendenza del perfezionamento del piano (e nell’incertezza circa il suo perfezionamento), legittimamente deliberare un aumento di capitale da sottoscriversi in tempi compatibili con il perfezionamento del piano (da due a quattro mesi, anche se constano casi di ricapitalizzazioni fatte in termini più lunghi); (c) se l’assemblea si sia già riunita e non abbia deliberato la ricapitalizzazione, la società si trova già in stato di liquidazione, che tuttavia può (e deve) essere revocato al fine di consentire che l’esecuzione del piano possa avere inizio.

Fino all’avvenuta sottoscrizione dell’aumento di capitale (o del venir meno della perdita, ad altre cause dovuto), gli amministratori dovranno gestire la società con criteri conservativi (art. 2486 c.c.).

Si precisa che non vi è necessaria coincidenza fra le valutazioni del piano, che possono e in una certa misura debbono essere molto prudenziali, e le valutazioni ai fini del bilancio, che debbono invece rispondere ai criteri generali, fra i quali la necessità di dare una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società.

 

(6) Garanzie per il concordato stragiudiziale

E’ opportuno, ed è indice di una corretta utilizzazione dello strumento del piano attestato o dell’accordo di ristrutturazione, descrivere nel modo più dettagliato possibile le operazioni cui si intende assicurare la protezione accordata dal piano. Ciò con due conseguenze: (a) maggiore rigore nell’elaborazione del piano e nella individuazione degli atti astrattamente revocabili, ma necessari all’attuazione del piano, e (b) maggiori possibilità, qualora il piano fallisca, di dimostrare in un eventuale giudizio la relazione sussistente fra il piano e l’atto, il pagamento e la garanzia posta in essere in sua esecuzione.

Il grado di dettaglio della descrizione delle singole operazioni dovrà essere direttamente proporzionale all’importanza dell’atto, del pagamento o della garanzia nell’economia del piano.

 

SOCI A RESPONSABILITA’ ILLIMITATA: ESTENSIONE DEL FALLIMENTO

Di regola il tribunale che dichiara il fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata (come s.n.c. e s.a.s.) deve dichiarare il fallimento per estensione dei soci illimitatamente responsabili, siano essi persone fisiche o società. Nella s.a.s. falliscono solo i soci accomandatari. Quando, dopo il fallimento di una società con soci a responsabilità illimitata, risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, di un socio fallito, dichiara il loro fallimento. Si tratta della dichiarazione di fallimento per estensione del socio occulto. Per estendere il fallimento al socio occulto di una s.a.s. è necessario dimostrare la sua posizione di accomandatario e non quella di semplice socio. Nel caso si tratti di familiari (coniugi o parenti), la valutazione di tali elementi deve essere particolarmente approfondita e rigorosa.

Dichiarato il fallimento della società e dei soci a responsabilità illimitata, il tribunale deve nominare, sia per il fallimento della società che per quello dei soci, un solo giudice delegato e un solo curatore, pur rimanendo distinte le due procedure. Il patrimonio della società e quello dei singoli soci falliti per estensione devono essere tenuti autonomi e distinti: si crea una massa attiva del patrimonio della società e tante masse per ogni singolo socio dichiarato fallito.

 

SCHEMA ATTIVITA’ IN CUI SI SOSTANZIA UN CONCORDATO STRAGIUDIZIALE

  1. Verifica dei dati aziendali e delle attuali esposizioni nei confronti del ceto creditorio;
  2. Attento monitoraggio dei credit aziendali esigibili;
  3. Prima comunicazione: invio di una comunicazione a tutti i fornitori aziendali ed a tutti gli ex dipendenti, con presentazione dell’operazione straordinaria e con richiesta di precisazione delle singole ragioni creditorie;
  4. Seconda comunicazione: invio della proposta concordataria, con invito a non dare impulso ad azioni giudiziali di recupero del credito;
  5. Attenta ponderazione nel verificare il numero e l’entità delle successive accettazioni, al cospetto del passivo complessivo;
  6. Valutazione delle opportunità di fissare dei singoli incontri con i fornitori “dominanti”;
  7. E’ necessario subordinare il pagamento della percentuale accettata, soltanto con la ricezione delle autorizzazioni da parte di tutti i creditori sociali;
  8. Costante osservanza del principio di “PAR CONDICIO CREDITORUM” al fine di non pregiudicare le ragioni di alcuno dei fornitori aziendali a beneficio di altri.