RIMEDI CONTRO IL SOVRAINDEBITAMENTO

INTRODUZIONE

I tumultuosi eventi economici e il conseguente imperversare della crisi economica e sociale che ha coinvolto l’Italia, unitamente ad altri Paesi dell’Unione Europea, ha dato al legislatore forti impulsi a colmare un deficit normativo, quello di fornire una disciplina, a tutti i soggetti esclusi dall’ambito di applicazione della legge fallimentare, finalizzata a rendere possibile la composizione della crisi da sovraindebitamento, riproducendo istituti simili a quelli introdotti con la riforma della legge fallimentare. Il legislatore comunitario ha da lungo tempo avvertito l’esigenza di disporre una disciplina in grado di contenere l’impatto economico e sociale del sovraindebitamento e di indicare le linee guida per la disciplina dell’insolvenza civile. In tale contesto nel 1992 venne pronunciata la Risoluzione del Consiglio sulle future priorità per lo sviluppo delle politiche di protezione dei consumatori, tra le quali veniva inclusa per la prima volta una attività di ricerca del sovraindebitamento; poi, con la delibera del Comitato Economico e Sociale del 27 maggio 1999 fu affidato alla Commissione Mercato Unico, Attività produttive e Consumatori, il compito di redigere un dossier informativo sul sovraindebitamento dei nuclei familiari e di procedere alla stesura di un Libro Verde che dopo avere analizzato i dati statistici del fenomeno, nonché le diverse discipline nazionali, giungesse ad una unica definizione di sovraindebitamento da cui partire per i successivi interventi regolatori.

In Italia il legislatore, ha elaborato in un contesto diverso dalla legge fallimentare, nell’ambito cioè dei provvedimenti in materia di usura, un disegno di legge S. 307, su iniziativa del Senatore Centenaro, avente ad oggetto “disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione della crisi da sovraindebitamento”. L’iter di formazione di questa legge è stato molto travagliato, si è avuto, infatti, un esame parlamentare estremamente complesso che ha portato all’approvazione di un testo solo dopo diversi interventi dell’esecutivo con decretazione d’urgenza, in un contesto finanziario e politico estremamente delicato. Tale iter si è concluso con la promulgazione della legge n. 3/2012, approvata il 27 gennaio 2012, con la quale si intende porre rimedio alle sempre più diffuse situazioni di indebitamento di soggetti, persone fisiche ed enti collettivi, a cui non sono applicabili le disposizioni in materia di procedure concorsuali e ai quali viene offerta la possibilità di concordare con i creditori un piano di ristrutturazione dei debiti.

L’art. 2 del Codice della Crisi contiene le seguenti definizioni rilevanti ai fini dell’accesso alle procedure di sovra indebitamento, da intendersi come lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore minore, dell’imprenditore agricolo, delle start – up innovative.

 

  1. “CRISI”: lo stato di difficoltà economico – finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate;
  2. “INSOLVENZA”: lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni.

 

INQUADRAMENTO SISTEMATICO

Gli istituti previsti dalla legge n. 3/2012 “tendono ad aiutare coloro che senza colpa, si sono trovati in situazioni di difficoltà economica (insolvenza), escludendo da detto beneficio coloro che possono essere definiti come debitori seriali. Sul punto merita un approfondimento del contenuto della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 18 maggio 2012, secondo cui:

“per risolvere i problemi che, di volta in volta, possono porsi nell’attuazione di singole norme o di plessi normativi concernenti tale istituto sembra assai più produttivo un approccio maggiormente eclettico che tenga conto di come il concordato, non diversamente del resto da molte altre figure giuridiche presenti nel diritto concorsuale (e non solo in quello), sia senza dubbio saldamente radicato nel diritto dei privati, derivando da un atto di innegabile natura negoziale ma possa anche risultare idoneo a riflettersi su una gamma più vasta e diffusa di interessi, per ciò stesso colorandosi di quelle connotazioni, almeno vagamente pubblicistiche, che danno ragione della sua collocazione, in un ambito giudiziale controllato”.

Nel contempo questi strumenti permettono, pur in ragione di un adempimento parziale e percentualistico delle obbligazioni contratte e con il sacrificio dei beni e delle risorse finanziarie residue del soggetto in situazione di crisi o di insolvenza, una esdebitazione totale, idonea a rimettere costui in gioco senza più debiti, depurandone, per il futuro, l’attività : è il fresh start .

Può concordarsi con chi ha evidenziato come la voluntas legis della composizione della crisi da sovra indebitamento è quella di introdurre, in linea con molti paesi europei e non, uno strumento di risoluzione della crisi del consumatore e dell’imprenditore non fallibile, soggetti altrimenti privi di un qualsiasi meccanismo negoziale di composizione delle situazioni di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte ed il patrimonio prontamente liquidabile per farvi fronte. In questo contorno così frastagliato, agevolare il debitore a riacquistare un ruolo proattivo nell’economia e nel mercato, liberandolo dallo status di reietto sine die e sgravandolo di un fardello di debiti pregressi, ormai di fatto divenuti inesigibili, è stato avvertito come un effetto virtuoso, tanto sulle imprese, quanto sulle attività professionali, perché tale da indurre un recupero di propensione alla spesa e da arginare il ricorso al sostegno esiziale dell’usura.

LA DISCIPLINA NORMATIVA  

La legge n. 3 del 2012 ha attribuito al debitore “non fallibile”, un’opportunità di trattazione propositiva della propria condizione passiva insostenibile, attraverso un progetto di ristrutturazione oppure di liquidazione coordinata dei propri beni, con effetti incisivamente esdebitatori.

Il sovraindebitamento è coincidente con lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell’imprenditore agricolo, delle start up innovative e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale (il vecchio fallimento) ovvero a liquidazione coatta amministrativa o ad altre procedure liquidatorie previste dal codice civile o da leggi speciali per il caso di crisi o insolvenza

Questi sono gli strumenti messi in campo per agevolare il debitore a riacquistare un ruolo proattivo nell’economia e nel mercato, liberandolo dallo status di reietto e sgravandolo di un fardello di debiti pregressi, ormai di fatto divenuti inesigibili:

  • L’ACCORDO DI RISTRUTTURAZIONE DEI DEBITI;
  • IL PIANO DEL CONSUMATORE;
  • PROCEDURA DI LIQUIDAZIONE DEI BENI.

Le imprese minori che potranno accedere a tali strumenti, sono indicate all’art. 2 del Codice della Crisi: “ai sensi di detta norma è impresa minore l’impresa che presenta congiuntamente:

  • Un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300.000,00, negli ultimi tre esercizi;
  • Ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000,00, negli ultimi tre esercizi compiuti;
  • Debiti, anche non scaduti, non superiori ad euro 500.000,00.

In ogni caso, necessita considerare che il superamento delle soglie di esclusione costituisce nel Codice della Crisi motivo di inammissibilità rilevabile, già in sede di apertura del procedimento ex artt. 75, 83 e 275, nonché di trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica ai fini dell’eventuale impulso d’avvio della liquidazione giudiziale per insolvenza.

Le procedure non sembrano, viceversa, riferibili anche ai patrimoni separati (fondo patrimoniale) o segregati (trust) o destinati a uno specifico affare, posta l’assenza di soggettività giuridica.

Gli strumenti del sovraindebitamento sono impercorribili per il condominio.

L’imprenditore agricolo sovraindebitato sarà tenuto a provare, ai fini della ammissibilità dell’accesso alla procedura, il requisito della agrarietà della attività. A tale scopo e sufficiente provare il semplice collegamento potenziale o strumentale con il terreno invece che reale come richiesto nella nozione giuridica ante vigente.

Possono essere ammessi alla procedura anche:

  • Gli enti privati non commerciali: associazioni, riconosciute e non, i comitati, le fondazioni, le associazioni di volontariato, le associazioni sportive dilettantistiche, le ONG, le ONLUS, le associazioni di promozione sociale;
  • Le società semplici costituite per l’esercizio delle attività professionali;
  • Gli eredi dell’imprenditore defunto da oltre un anno se hanno accettato con beneficio di inventario, potranno proporre ai creditori dell’eredità una procedura di sovraindebitamento dopo che sia decorso un anno dalla morte del de cuius. Se, diversamente, l’accettazione è stata pura e semplice, a seguito della confusione dei patrimoni, l’erede potrà accedere a una procedura di cui alla legge nr. 3/2012 solo se la sua impresa non sarà fallibile;
  • In via generale il garante, con la seguente avvertenza: se il fideiussore ha garantito debiti relativi ad attività di impresa o professionale, allora egli non potrà essere considerato consumatore (e potrà dunque avvalersi soltanto dell’accordo di ristrutturazione e della liquidazione del patrimonio): l’inadempimento risulta qui collegato ad una attività imprenditoriale;
  • La riforma ha esteso le procedure di sovraindebitamento all’imprenditore delle start – up innovative. Trattasi delle società di recente costituzione che si occupano prevalentemente di sviluppare, produrre e commercializzare prodotti e servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

FOCUS SUL CONCETTO DI CONSUMATORE

L’art. 2, comma 1 del Codice della Crisi, lett. E) con una formulazione sovrapponibile a quella attualmente in vigore ex art. 6 della legge 3/2012, ma con una importante novità, definisce il “consumatore” come la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente svolta, anche se socia di una delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III (s.n.c.), IV (s.a.s.), e VI (s.a.p.a.) del titolo V del libro quinto del codice civile, per debiti estranei a quelli sociali. La verifica della qualifica di consumatore del soggetto che chiede di essere ammesso alla procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento deve essere effettuata interpretando in senso stretto e rigoroso il rapporto di funzionalità al privato consumo delle obbligazioni contratte.

In giurisprudenza si era già posto il problema di come affrontare l’eventuale crisi o insolvenza di diversi o tutti i membri di una famiglia, giungendo ad approdi del tutto condivisibili. L’art. 66 del Codice della Crisi prevede quanto segue:

“i membri della stessa famiglia possono presentare un unico progetto di risoluzione della crisi da sovraindebitamento quando sono conviventi o quando il sovrindebitamento ha una origine comune. Ai fini del comma 1, oltre al coniuge, si considerano membri della stessa famiglia i parenti entro il quarto grado e gli affini entro il secondo, nonché le parti dell’unione civile e i conviventi di fatto. Tuttavia quando uno dei componenti della famiglia non è consumatore, dovrà consentirsi l’accesso al solo concordato minore”.  

 

ORGANISMO DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI detti OCC

In via generale: svolge compiti diversificati: compie contemporaneamente attività di consulente legale e finanziario del debitore, di ausiliario del giudice e di garanzia nei confronti dei terzi in generale e dei creditori in particolare; assiste il debitore nella predisposizione del piano o della bozza di accordo; provvede all’attestazione del piano; cura i rapporti con gli uffici fiscali, predispone per il tribunale una relazione particolareggiata sulle cause della crisi del consumatore; esegue le comunicazioni e della pubblicità degli atti, anche presso i registri immobiliari ed il registro delle imprese; tiene i rapporti con i creditori, cui indirizza le eventuali comunicazioni; vigila sull’adempimento delle procedure; comunica ai creditori ogni eventuale irregolarità; accede, ove occorra, all’anagrafe tributaria.

L’art. 2 del Codice della Crisi definisce gli OCC come:

“organismi di composizione delle crisi da sovraindebitamento disciplinati dal decreto del Ministro della giustizia del 24 settembre 2014, n. 202 e successive modificazioni che svolgono i compiti di composizione assistita della crisi da sovraindebitamento previsti dal presente codice”.

E’ previsto un limite di competenza territoriale: l’OCC prescelto deve ricadere nel tribunale del luogo di residenza del debitore.

Sul tema è necessario riportare la massima della sentenza Corte di Cass. 8 agosto 2017 n. 19740 secondo cui non è possibile prevedere il conferimento dell’incarico ad un professionista in luogo del riferimento necessario ad un OCC:

“la suddetta previsione rimarrebbe gravemente menomata se si ammettesse l’affidamento sine die dei compiti e delle funzioni attribuiti agli organismi di composizione della crisi ed in alternativa ad essi, anche ad un soggetto idoneo a svolgere le funzioni di curatore fallimentare ovvero ad un notaio”.

Tale massima ha suggerito il contenuto dell’art. 27 secondo comma, del Codice della Crisi:

“se nel circondario del tribunale competente non vi è un OCC, i compiti e le funzioni allo stesso attribuiti sono svolti da un professionista o da una società tra professionisti in possesso dei requisiti di legge, nominati dal Presidente del Tribunale competente o da un giudice da lui delegato”.

Si precisa che non è necessaria l’assistenza di un avvocato per ottenere detta indicazione. Con la designazione del professionista viene di solito liquidato un acconto sui compensi. In ogni caso la designazione deve essere formalmente accettata dal professionista designato.

I COMPITI DELL’OCC

L’OCC deve attestare la fattibilità del piano e non avrebbe senso (sussistendone un palese conflitto di interessi) se fosse investito direttamente della predisposizione dello stesso e poi dovesse valutarne, attestandolo, la veridicità e fattibilità.

Queste sono le attività istruttorie e valutative che deve svolgere:

  1. Verifica della sussistenza delle condizioni di ammissibilità della procedura, sia da un punto di vista soggettivo che oggettivo;
  2. Verifica della completezza ed idoneità della documentazione contabile e bancaria, fornita dal richiedente, ai fini della predisposizione della proposta, con possibilità di accedere alle banche dati. Infatti per lo svolgimento dei compiti e delle attività necessarie per la predisposizione del piano, gli OCC, previa autorizzazione del giudice, possono accedere ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria, nei sistemi di informazione creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche.

L’art. 10, commi 10 e 11 della legge 3/2012 prevede che, per lo svolgimento dei compiti e delle attività necessarie per la predisposizione del piano, gli organismi di composizione della crisi, previa autorizzazione del giudice “possono accedere ai dati contenuti nell’anagrafe tributaria, nei sistemi di informazioni creditizie, nelle centrali rischi e nelle altre banche dati pubbliche.

 

SCHEMA RIASSUNTIVO DELLE PROCEDURE

Il Codice della Crisi ridisegna le procedure di sovraindebitamento prevedendo le seguenti tre:

  1. PIANO DEL CONSUMATORE: il consumatore sovraindebitato può proporre ai creditori un piano di ristrutturazione dei debiti ex artt. 67 e seguenti;
  2. CONCORDATO MINORE: i debitori di cui all’art. 2, comma 1, lett. C), esclusi i consumatori (quindi solo i professionisti, l’imprenditore minore, l’imprenditore agricolo, le start up innovative, ogni altro debitore non assoggettabile a procedure liquidatorie concorsuali),
  3. LIQUIDAZIONE: i debitori di cui all’art. 2, comma 1, lett. C), oltreché i creditori, possono proporre l’apertura della procedura di liquidazione controllata ex art. 268 del Codice della crisi.

IL PIANO DEL CONSUMATORE

In via generale: la procedura della ristrutturazione dei debiti del consumatore è caratterizzata dall’essere riservata al solo consumatore il quale chiede al giudice l’omologazione di un piano a contenuto libero (art. 67); dall’escludere il voto dei creditori pur avendo natura concordataria, dall’essere subordinato il ricorso alla stessa alla condizione di meritevolezza del debitore e dal non avere quest’ultimo in precedenza beneficiato negli ultimi cinque anni o per due volte dell’esdebitazione.

L’inquadramento fra le procedure concordatarie, nonostante la mancata previsione del voto, viene assicurato dal riconoscimento in capo ai creditori della facoltà di opporsi all’omologazione. L’insolvenza del consumatore deve essere connotata esclusivamente da obbligazioni non attinenti alla sfera imprenditoriale o professionale, diversamente vi sarebbe la necessità semmai di ricorrere ad altra tipologia di procedimento.

 

IL CONTENUTO DELL’ACCORDO O DEL PIANO

Gli artt. 7 ed 8 prevedono che esso consista in una proposta di accordo di ristrutturazione dei debiti e di soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, quindi mediante cessione dei crediti futuri e, quindi, un piano economico – finanziario, idoneo ad ottenere il consenso dei creditori e che:

  • Consenta il regolare pagamento dei titolari di crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 c.p.c. (“crediti alimentari, aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento”);
  • Preveda scadenze e modalità di pagamento dei creditori, anche se suddivisi in classi;
  • Indichi le eventuali garanzie;
  • Preveda, nel caso di insufficienza dei beni e dei redditi del debitore a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore, la garanzia di uno o più terzi che consentono il conferimento di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attuabilità;
  • Pagamento integrale dei crediti tributari costituenti risorse proprie dell’Unione europea, dell’IVA e delle ritenute operate e non versate, per i quali possono prevedersi solo dilazioni di pagamento.

In assenza di disposizioni che sanciscano l’obbligo di rispettare la par condicio creditorum , è da ritenere che il piano del consumatore sia improntato ad assoluta libertà nel trattamento dei creditori: può prevedere che i creditori (pure quelli privilegiati ed in primis i crediti tributari diversi da quelli indicati in precedenza, nel contesto di una sorta di transazione fiscale atipica) non siano soddisfatti secondo la regola del concorso e che siano contemplate condizioni differenti per ciascuno di loro, a prescindere da una effettiva suddivisione in classi, secondo posizione giuridica e interessi economici omogenei.

La giurisprudenza di legittimità (Corte di Cass. 3.7.2019) ha affermato che negli accordi di ristrutturazione dei debiti e nel piano del consumatore è possibile prevedere la dilazione dei crediti prelatizi anche oltre il termine di un anno dall’omologazione.

Il termine finale massimo del piano del consumatore deve necessariamente collocarsi in un adeguato e non eccessivo arco temporale (che non dovrebbe superare i sette anni – espresso riferimento a Cass. 23982 – salvo casi eccezionali, potendo raggiungere il decennio o poco più).

NUOVI VANTAGGI PREVISTI PER LE PROCEDURE DI RISOLUZIONE DEL SOVRAINDEBITAMENTO

Sebbene l’art. 7 rappresenti un limite, è bene dare conto delle novità scaturenti dalla legge di approvazione del bilancio 2017, in attesa dei prossimi sviluppi giurisprudenziali. La novella dell’art. 183 – ter l. fall. ha recepito i principi espressi dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza 07/04/2016 C- 546/14, in tema di falcidia dell’IVA, nonché ritenute operate e non versate, prevede ora la possibilità di una transazione fiscale che attenga anche a tali debiti, purché la soddisfazione parziale avvenga in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale, sul ricavato in ipotesi di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni, ovvero ai diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, quantificato (essendo un valore presunto) nella relazione di un professionista in possesso dei requisiti previsti dall’art. 67, comma terzo lett. D) l. fall.

Quanto ai crediti muniti di privilegio, pegno o ipoteca: oggi il piano può prevedere, in sostanziale analogia a quanto disposto per il concordato preventivo ex art. 160, comma secondo legge fall. che quei crediti siano soddisfatti parzialmente, purché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi.

Va ricordato che, a norma del comma 2 dell’art. 7, nei casi in cui i beni e i redditi del debitore non siano sufficienti a garantire la fattibilità dell’accordo o del piano del consumatore, la proposta deve prevedere garanzie o apporti patrimoniali o finanziari da parte di terzi che debbono sottoscriverla, consentendo il conferimento, anche in garanzia, di redditi o beni sufficienti per assicurarne l’attuabilità.

Il Codice della Crisi, all’art. 67 terzo comma, in tema di ristrutturazione dei debiti del consumatore, ha previsto quanto segue: “la proposta può prevedere anche la falcidia e la ristrutturazione dei debiti derivanti da contratti di finanziamento con cessione del quinto dello stipendio, del TFR e della pensione”. Va aggiunto che a norma dell’art. 68 comma 5, “è possibile prevedere anche il rimborso, alla scadenza convenuta, delle rate a scadere del contratto di mutuo garantito da ipoteca iscritta sull’abitazione principale del debitore se lo stesso, alla data del deposito della domanda, ha adempiuto le proprie obbligazioni o se il giudice lo autorizza al pagamento del debito per capitale ed interessi scaduto a tale data”.

In sostanza il consumatore svolgerà di fatto due iniziative: (i) presso l’organismo di composizione della crisi il cui procedimento si chiuderà con la nomina del professionista (gestore della crisi) ai sensi del d.m. 24 settembre 2014, n. 202. Entro sette giorni dalla sua nomina l’OCC dovrà provvedere a darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche degli enti locali, i quali – a loro volta – entro 15 giorni debbono comunicare il debito tributario accertato e gli eventuali accertamenti pendenti; (ii) l’altra tramite il deposito della domanda di omologazione del piano.

ADEMPIMENTI PRELIMINARI DELL’OCC

  1. Predisporre l’elenco dei creditori con indicazione delle somme dovute. I crediti contestati vanno esclusi dal piano, con espressa motivazione;
  2. Indicazione delle cause di prelazione;
  3. Elencare tutti i beni del debitore: sia mobili che mobili registrati che immobili, con l’indicazione del loro valore di stima, con il supporto di perizie asseverate;
  4. Fonti di reddito;
  5. Atti di disposizione compiuti negli ultimi cinque anni;
  6. Dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni;
  7. Le scritture contabili degli ultimi tre esercizi;
  8. Indicazione della composizione del nucleo familiare;
  9. Indicazione delle spese correnti necessarie nell’arco di un anno, al sostentamento del debitore e della famiglia, per tipologia;
  10. Attestare la fattibilità del piano.

Alla proposta di piano del consumatore deve essere altresì allegata una relazione particolareggiata dell’organismo di composizione della crisi che deve contenere l’indicazione delle cause dell’indebitamento e della diligenza impiegata, le ragioni dell’incapacità del debitore, il resoconto sulla sua solvibilità, l’indicazione della eventuale esistenza di atti del debitore impugnati dai creditori ed un giudizio sulla completezza e attendibilità della documentazione depositata.

IL COMPENSO DELL’OCC

Nel caso di OCC strutturato, di norma il compenso è oggetto di un accordo con il debitore che lo ha nominato: benché la norma dell’art. 14 preveda che in difetto di accordo si applichino le disposizioni del decreto, è da ritenere che i criteri ivi previsti costituiscano dei parametri guida.

In sintesi è previsto:

  • Un rimborso spese forfettario nella misura tra il 10% ed il 15% calcolato sul compenso;
  • Il rimborso integrale per le spese effettivamente sostenute e puntualmente documentate.

L’ammontare complessivo dei compensi e delle spese generali non può comunque essere superiore al 5% dell’ammontare complessivo di quanto è attribuito ai creditori per le procedure aventi un passivo superiore a 1.000.000 di euro e al 10% sul medesimo ammontare per le procedure con passivo inferiore. Nell’ipotesi di mancata omologazione e nel caso in cui la procedura per qualsiasi motivo si fermi prima di tale momento, l’unico criterio generale di riferimento è dato dalla complessità dell’incarico e dalla tempistica degli adempimenti svolti.

Nel casi rientranti nei parametri reddituali previsti è possibile accedere al patrocinio a spese dello Stato: in tal caso sarà necessaria la massima attenzione nella valutazione dei presupposti.

IPOTESI DI RESPONSABILITA’ PENALE

In capo al componente dell’OCC:

  • False attestazioni in ordine alla veridicità dei dati contenuti nella proposta o nei documenti ad essa allegati, alla fattibilità del piano;
  • Omissione e rifiuto di un atto dell’ufficio che abbia determinato dei danni per i creditori.

L’art. 344 del Codice della Crisi ha previsto la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000 per il delitto di false attestazioni.

In capo al debitore:

  • Al fine di ottenere l’accesso alla procedura di composizione della crisi di cui alla sezione prima del presente capo aumenta o diminuisce il passivo ovvero sottrae o dissimula una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simula attività insussistenti;
  • Produce documentazione contraffatta o alterata;
  • Omette l’indicazione di beni dell’inventario;
  • Effettua pagamenti in violazione dell’accordo e del piano del consumatore;
  • Intenzionalmente non rispetta i contenuti dell’accordo.

L’art. 344 del Codice della Crisi ha previsto la reclusione da uno a tre anni e con la multa da 1.000 a 50.000.

LA PROPOSTA ED IL PIANO

L’art. 9 della legge 3/2012 prevede che la proposta di accordo (predisposta con l’ausilio dell’OCC, a pena di inammissibilità) va depositata presso il tribunale territorialmente competente. In caso di debitore ordinario, quello del luogo di residenza o della sede principale del debitore stesso.

In base al tenore degli artt. 68, comma 1 - 76, comma 1 e 269, comma 2, non sembra essere necessaria l’assistenza tecnica del difensore, stante la presenza obbligatoria dell’OCC in ausilio al debitore ed a sua tutela anche procedurale. Indubbia invece l’esigenza di assistenza legale in caso di reclamo ed in generale nei subprocedimenti di natura squisitamente contenziosa.

La proposta (alla quale deve accompagnarsi la relazione particolareggiata dell’OCC) contestualmente al deposito presso il tribunale e comunque non oltre tre giorni, deve essere presentata, a cura dello stesso OCC:

  • All’agente della riscossione;
  • Agli uffici fiscali, con la ricostruzione della sua posizione fiscale e l’indicazione di eventuali contenziosi pendenti.

A completamento dell’argomento, si indica il testo dell’art. 68, comma 2, del Codice della Crisi:

“l’OCC nella sua relazione deve indicare anche se il soggetto finanziatore, ai fini della concessione del finanziamento, abbia tenuto conto del merito creditizio del debitore, valutato in relazione al suo reddito disponibile, dedotto l’importo necessario mantenere un dignitoso tenore di vita. A tal fine si ritiene idonea una quantificazione non inferiore all’ammontare dell’assegno sociale moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza ISEE”.         

Il mero deposito della proposta di accordo o di piano del consumatore determina automaticamente la sospensione, ai soli effetti del concorso, del corso degli interessi convenzionali o legali; per ulteriori effetti protettivi del debitore occorre invece attendere il decreto del giudice di fissazione dell’udienza, in esito ad un vaglio preliminare di ammissibilità. Di per sé l’emissione del decreto che possiamo descrittivamente chiamare l’apertura della procedura, non comporta l’applicazione di alcuna misura protettiva, a parte la sospensione del corso degli interessi, peraltro ricollegata automaticamente non al decreto ma alla presentazione della domanda. Oggi il codice all’art. 70, comma quarto Codice della Crisi, non solo prevede che il giudice, sempre su istanza, possa disporre il divieto di iniziare o proseguire azioni esecutive ma anche ciò potrà fare per quelle cautelari e questo “fino alla conclusione del procedimento (sino alla omologa “e potrà adottare le misure idonee a conservare l’integrità del patrimonio. Ciò significa che il giudice delegato potrà inibire in particolare sequestri conservativi, sebbene non potrà invalidare quelli in ipotesi già ottenuti, perché la norma non autorizza a tanto.

Si segnala una importante decisione del Tribunale di Firenze del 6.07.2016, secondo cui:

“L’aggiudicatario ha diritto ad ottenere il trasferimento del bene anche se dopo l’aggiudicazione sopravviene la procedura di sovraindebitamento, posto che l’art. 187 bis disp. Att. c.p.c. si applica anche alla procedura di sovraindebitamento in quanto è volto ad assicurarne il diritto ad ottenere il trasferimento del bene anche qualora dopo l’aggiudicazione del bene nella vendita all’incanto sopravvenga l’estinzione dell’esecuzione”.   

L’OMOLOGAZIONE

L’art. 12 bis della L. 3/2012 disciplina il procedimento di omologazione del piano del consumatore, prevedendo che il giudice fissa con decreto l’udienza:

  • Se la proposta soddisfa i requisiti previsti dagli artt. 7,8 e 9;
  • Se non emergono atti in frode ai creditori.

In tal caso, con il decreto dispone, a cura dell’OCC la comunicazione, almeno trenta giorni prima, a tutti i creditori della proposta e del decreto. Quando, nelle more della convocazione dei creditori, la prosecuzione di specifici procedimenti di esecuzione forzata potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano, il giudice, con lo stesso decreto, può disporre la sospensione degli stessi sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo.

La peculiarità di tale tipologia di piano è che l’omologazione (ed ancor prima la fissazione dell’udienza di discussione) è subordinata all’insussistenza – sulla base degli atti disponibili e della valutazione dell’OCC – di elementi di frode o di immeritevolezza, dovendo il giudice verificare che il consumatore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento, anche per mezzo di un ricorso al credito non proporzionato alle proprie capacità patrimoniali.

Solo a seguito della fissazione dell’udienza, il giudice può disporre ai sensi dell’art. 12 bis, comma 2 L. 3/2012 la sospensione di specifici procedimenti di esecuzione forzata, sino al momento in cui la omologazione diverrà definitiva, quando la loro prosecuzione potrebbe pregiudicare la fattibilità del piano.

L’art. 70, comma 5 del Codice della Crisi aggiunge opportunamente che le misure protettive sono revocabili ad istanza del creditore, o anche d’ufficio, in caso di atti in frode. Il giudice, salvo che l’istanza di revoca non sia palesemente inammissibile o manifestamente infondata, sente le parti, anche mediante scambio di memorie scritte e provvede con decreto.

Il procedimento semplificato di omologazione del Piano del Consumatore: a seguito della verifica preliminare da parte del giudice e della fissazione dell’udienza si apre la fase di omologazione. La semplificazione rispetto alla normale procedura di accordo di composizione della crisi è l’assenza della votazione dei creditori, posto che all’udienza il giudice con decreto omologa il piano (disponendo per il relativo provvedimento una forma idonea di pubblicità), in esito alle seguenti attività di controllo e valutazione:

  • Verifica della fattibilità e l’idoneità dello stesso ad assicurare il pagamento dei crediti impignorabili;
  • Risoluzione di ogni altra contestazione;
  • Accertamento che il consumatore non abbia assunto obbligazioni senza la ragionevole prospettiva di poterle adempiere ovvero che abbia colposamente determinato il sovraindebitamento.

L’art. 70 del Codice della Crisi, a parte la pubblicazione del piano e della proposta che hanno superato il vaglio preliminare di ammissibilità su apposita area del sito web del Tribunale adito o del Ministero, prevede che nei venti giorni successivi alla comunicazione ogni creditore può presentare osservazioni, inviandole all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’OCC, indicato nella comunicazione. Entro i dieci giorni successivi alla scadenza del termine suddetto, l’OCC, sentito il debitore, riferisce al giudice e propone le modifiche al piano che ritiene necessarie. Segue quindi la fase giudiziale vera e propria, dovendo il giudice verificare l’ammissibilità giuridica e la fattibilità economica del piano, risolvere ogni contestazione e, in caso positivo, omologa il piano con sentenza che chiude la procedura.

Nel caso della ristrutturazione dei debiti del consumatore, la circostanza che i creditori non votano ma possono solo presentare osservazioni, depotenziando i profili negoziali dell’istituto, esalta – come nel vigente piano del consumatore – il ruolo del giudice anche sotto il profilo del giudizio di fattibilità o convenienza economica.

Il comma 9 dell’art. 70 precisa che:

“Quando uno dei creditori o qualunque altro interessato, con le osservazioni di cui al comma 5, contesta la convenienza della proposta, il giudice omologa il piano se ritiene che comunque il credito dell’opponente possa essere soddisfatto dall’esecuzione del piano in misura non inferiore all’ alternativa liquidatoria”.

A norma poi del comma 10, in caso di diniego dell’omologazione, il giudice provvede con decreto motivato (reclamabile ai sensi dell’art. 50) e dichiara l’inefficacia delle misure protettive accordate. Su istanza del debitore, verificata la sussistenza dei presupposti di legge, dichiara la procedura liquidatoria ai sensi degli art. 208 e seguenti.

La vera innovazione portata dal Codice della Crisi in argomento è data dalla possibilità di valutare il merito creditizio, in stretta correlazione dell’art. 124 bis T.U.B., secondo cui prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore è tenuto a valutare il merito creditizio del consumatore – cioè appunto l’affidabilità di un soggetto dal punto di vista economico e finanziario – sulla base di informazioni adeguate, se del caso fornite dal consumatore stesso e, ove necessario, ottenute consultando una banca dati pertinente. Sicché l’art. 69, accanto alla valutazione di meritevolezza del debitore, si è anche previsto che venga in rilievo il fatto che il creditore abbia colpevolmente determinato o aggravato la situazione di indebitamento o abbia comunque violato i suddetti principi, soprattutto al fine di scongiurare eventuali opposizioni alla omologazione che lo stesso potrebbe incardinare.

Ovviamente l’esame di tutte le surriferite condizioni e requisiti e segnatamente della fattibilità, della meritevolezza e dell’assenza di atti in frode, assume una connotazione particolare ove sussistono rispetto ad essi precise osservazioni da parte dei creditori. Oggi in base alla disciplina di cui all’art. 70 del Codice della Crisi è assente qualsiasi riferimento al contraddittorio ma è tuttavia logico che sulle osservazioni suddette, da farsi pervenire all’OCC nel termine di venti giorni dalla comunicazione del decreto di apertura della procedura, tale garanzia è essenziale, dovendosi dare la parola al debitore sulle stesse, senza contare che il giudice avrà anche ricevuto dall’OCC un parere trasmessogli unitamente alle osservazioni stesse. L’esame che svolgerà il giudice si sostanzierà nel verificare, pur a fronte di un piano fattibile, se lo stesso sia idoneo a garantire al creditore contestante un trattamento eguale o migliore di quello che otterrebbe nell’alternativa liquidatoria nel qual caso, nonostante la contestazione, si procederà egualmente all’omologa. Sia che il giudice ritenga l’insussistenza delle condizioni di ammissibilità, sia che ritenga l’insussistenza della fattibilità economica, sia infine che – essendo presentata relativa contestazione nel merito – ritenga che il piano non sia economicamente conveniente per il contestante, egli emetterà un decreto di diniego dell’omologazione che dovrà essere motivato, nell’ottica della sua reclamabilità ex art. 124 del Codice della Crisi.

A norma del sesto comma dell’art. 70 l’OCC, sentito il debitore, deve proporre al giudice le modifiche necessarie e in ogni caso “riferisce” al giudice, entro il termine di dieci giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle osservazioni dei creditori e chiaramente egli non potrà che riferire (appunto sulle osservazioni) motivatamente e a mezzo di un parere.

A norma dell’art. 12 ter della L. 3/2012, dalla data di omologazione del piano si produce un effetto protettivo del patrimonio, posto che:

  • I creditori con causa o titolo anteriore non possono iniziare o proseguire azioni esecutive individuali;
  • Ad iniziativa dei medesimi creditori, non possono essere neppure iniziate o proseguite azioni cautelari, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore;
  • I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

Il piano omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori e pur tuttavia non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso. I contratti proseguono regolarmente nei loro effetti anche dopo l’apertura e financo dopo l’omologazione del piano (come accade per i contratti non sciolti nel concordato) ma i relativi crediti potranno essere oggetto della proposta e quindi essere proporzionalmente ridotti. I beni di cui il piano prevede la cessione sono sottratti alla disponibilità (ma non alla proprietà) del debitore, per essere posti in quella del liquidatore, nei limiti e con i vincoli del piano omologato.

In fase di esecuzione del piano omologato, l’OCC propone al giudice la nomina di un liquidatore, se per la soddisfazione dei crediti sono utilizzati beni sottoposti a pignoramento ovvero se previsto dall’accordo o dal piano del consumatore. Fermo restando il principio secondo cui l’esecuzione spetta al debitore pur sotto la vigilanza dell’OCC, non comportando l’omologazione il suo spossessamento, principio che avrà la sua piena applicazione in ipotesi di piani non liquidatori, o basati sulla cessione di crediti o porzioni di crediti, quante volte essi invece involgano attività liquidatoria, i relativi aspetti procedurali non potranno che essere gestiti direttamente dall’OCC, in conformità del resto alla sua figura di gestore istituzionale.

I pagamenti e gli atti dispositivi dei beni posti in essere in violazione dell’accordo o del piano del consumatore sono inefficaci rispetto ai creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità.

Quando l’esecuzione dell’accordo o del piano del consumatore diviene impossibile per ragioni non imputabili al debitore, quest’ultimo, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, può modificare la proposta.

Ogni sei mesi l’OCC riferisce al giudice per iscritto sullo stato dell’esecuzione. Terminata l’esecuzione, l’OCC, sentito il debitore, presenta il rendiconto al giudice che può approvarlo, procedendo alla liquidazione del compenso, ovvero non approvarlo: in tale ultimo caso il giudice indica gli atti necessari per l’esecuzione del piano ed un termine per il loro compimento.

In tema di esecuzione del piano l’art. 71 si limita a sottolineare che l’OCC provvede alla vigilanza dell’esatto adempimento del piano, lasciando quindi chiaramente intendere che l’esecuzione viene curata – sempre – direttamente dal debitore. La stessa norma, al secondo comma, prevede che terminata l’esecuzione l’OCC presenta al giudice il rendiconto e la sua approvazione è necessaria per la liquidazione del compenso.

In ultimo sull’argomento è bene sottolineare che l’art. 72 del Codice della Crisi si occupa della eventuale revoca dell’omologazione che si palesa nelle seguenti ipotesi:

  • Quando è stato dolosamente o con colpa grave aumentato o diminuito il passivo, ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo ovvero dolosamente simulate attività inesistenti o se risultano commessi atti diretti a frodare le ragioni dei creditori;
  • In caso di inadempimento degli obblighi previsti nel piano o qualora questo sia divenuto inattuabile e non sia possibile modificarlo.

A norma dell’art. 73 in caso di revoca dell’omologazione il giudice, su istanza del debitore, dispone la conversione in liquidazione controllata. Va infine sottolineato, analogamente a quanto concluso in tema di assenza della condizione soggettiva per l’omologazione, ove l’insolvenza prima assente si sia estesa anche alle obbligazioni inerenti l’attività imprenditoriale o professionale del debitore, non v’è ostacolo alla presentazione di una domanda di concordato minore, ricorrendone i presupposti.

Crediti da riconoscere in prededuzione. Ai sensi dell’art. 6, comma primo del Codice della Crisi, il compenso dell’OCC viene annoverato fra le spese prededucibili, così come i finanziamenti erogati per l’esecuzione del piano.

IL CONCORDATO MINORE

La proposta ha contenuto “libero”. E’ prevista una ampia libertà in ordine alla individuazione delle scadenze e modalità di pagamento dei creditori, all’indicazione di eventuali garanzie, alla determinazione delle percentuali di soddisfacimento dei creditori, salva, in quest’ultimo caso, la vincolatività della previsione stabilita al comma secondo dell’art. 75, a mente del quale il pagamento non integrale dei crediti muniti di pegno o ipoteca è consentito unicamente a condizione che il piano assicuri il pagamento di tali crediti: “in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli organismi di composizione della crisi”.

Trattandosi di concordato che attiene solo al professionista e all’imprenditore, la relativa proposta presuppone: (i) la prosecuzione dell’attività imprenditoriale o professionale (ii) ovvero, nel contesto di un concordato liquidatorio, l’apporto di risorse esterne che aumentino in misura apprezzabile la soddisfazione dei creditori. Solo su istanza del debitore, il giudice dispone che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventa definitivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore da parte dei creditori aventi titolo o causa anteriore.

A differenza del concordato preventivo, non è previsto né un tetto minimo della percentuale di soddisfacimento dei creditori, né la misura che deve essere assunta dall’apporto di risorse esterne, limitandosi a stabilire che tale apporto deve determinare un incremento “apprezzabile” di soddisfacimento dei creditori.

Una delle riforme più importanti introdotte sull’istituto in esame dal Codice della Crisi è la seguente: il concordato minore della società produce i suoi effetti anche per i soci illimitatamente responsabili e che non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, fideiussori del debitore e obbligati in via di regresso, salvo che sia diversamente previsto. La procedura di concordato minore non si estenderà alla posizione debitoria personale dei soci illimitatamente responsabili, i quali, semmai, non potranno essere escussi dai creditori sociali in pendenza di procedura e potranno avvalersi dell’effetto parzialmente esdebitatorio di cui all’art. 65, comma quarto, relativamente alle sole obbligazioni sociali di cui rispondono come soci.

LA RELAZIONE DELL’OCC

L’art. 76 chiarisce che la domanda “è formulata” tramite un OCC, anche se risulta non ben chiaro il ruolo che l’OCC dovrebbe rivestire nella formulazione. Rimette direttamente all’OCC: “la formulazione della domanda, del piano e della proposta nella stessa contenuti”, precisando, tuttavia che “la maggiore complessità del procedimento, rispetto a quello di omologazione del piano del consumatore e le maggiori dimensioni della situazione di crisi o insolvenza che costituiscono il presupposto del concordato minore impongono, in questo caso che all’assistenza prestata dall’OCC. Si aggiunga quella del difensore”. E’ ragionevole ritenere che la formulazione della proposta/domanda sia curata – come avviene nel concordato preventivo – dal difensore, mentre all’OCC spetti la stesura del piano e dei caratteri più marcatamente tecnici della domanda. L’OCC nei sette giorni successivi al conferimento dell’incarico deve darne notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali, anche locali, affinché questi, entro i successivi 15 giorni, comunichino l’entità del debito tributario accertato nonché gli eventuali accertamenti pendenti.

L’art. 80, comma quarto introduce una importante novità, poiché nega la facoltà di presentare opposizione all’omologa o di dedurre profili di inammissibilità non derivanti da condotte dolose del debitore a quei creditori che abbiano colpevolmente determinato lo stato di sovraindebitamento, o lo abbiano comunque aggravato.

DEPOSITO DELLA DOMANDA E VAGLIO DELLA SUA AMMISSIBILITA’

Effettuato il deposito della domanda di ammissione al concordato si apre una fase di vaglio preliminare ad opera del tribunale in composizione monocratica. La maggior parte delle verifiche ha carattere squisitamente documentale e tale circostanza sembra deporre nel senso di limitare la valutazione preliminare di ammissibilità a soli profili di inammissibilità “formale”, senza possibilità di operare un vaglio di merito. Unica eccezione è costituita dall’accertamento della commissione di atti in frode a danno dei creditori.

E’ disciplinato dall’art. 10 della L.3/2012 e prevede un iniziale sommario vaglio di ammissibilità della proposta da parte del giudice:

  • Sulla propria competenza territoriale;
  • L’avvenuta assistenza da parte di un OCC abilitato;
  • Verifica sui requisiti oggettivi e soggettivi;
  • L’assenza di condizioni ostative;
  • La completezza della documentazione allegata.

Sul punto è utile fare riferimento alla sentenza del Tribunale di Bergamo 31.3.2015, secondo cui “il controllo giudiziale assume natura formale ed è incapace di incidere sul piano presentato dal debitore e sulle condizioni ivi contenute, essendo necessaria e sufficiente la sola verifica di legalità, tenuto conto del ruolo attestativo”.

La giurisprudenza non ha mancato di statuire che il giudice delegato (chiamato ad una valutazione di fattibilità del piano, poiché soltanto quest’ultima garantisce l’attuabilità degli accordi e che da essi scaturisca il soddisfacimento dei creditori in termini coerenti con la proposta) può limitarsi a recepire contenuti e conclusioni della relazione redatta dall’OCC che si presenti provvista dei requisiti di analiticità motivazionale, esaustività, coerenza logica e non contraddittorietà, a condizione che vi sia rispondenza logica tra i contenuti del piano e l’argomentare dell’organismo. In sostanza il giudice dovrà verificare se i contenuti del piano siano corrispondenti ai contenuti della accettazione definitiva.

IL DECRETO DI APERTURA DELLA PROCEDURA

In caso di superamento del vaglio preventivo di ammissibilità della domanda, il giudice pronuncia un decreto con cui dichiara l’apertura della procedura, secondo un meccanismo direttamente mutuato dalla procedura di concordato preventivo.

In caso di controllo positivo, il giudice:

  • Fisserà immediatamente l’udienza, disponendo la comunicazione almeno trenta giorni prima;
  • Stabilità la forma idonea di pubblicità della proposta e del decreto;
  • Ordinerà, ove il piano preveda la cessione o l’affidamento a terzi di beni immobili o di beni mobili registrati, la trascrizione del decreto, a cura dell’OCC, presso gli uffici competenti;
  • Disporrà d’ufficio che, sino al momento in cui il provvedimento di omologazione diventi esecutivo, non possono, sotto pena di nullità, essere iniziate o proseguite azioni esecutive individuali né disposti sequestri conservativi, né acquistati diritti di prelazione sul patrimonio del debitore.

All’udienza fissata il giudice potrebbe disporre la revoca del decreto e ordinare la cancellazione della sua trascrizione, ove accerti la presenza di iniziative o atti in frode ai creditori. Costituiscono iniziative o atti in frode: la concessione di garanzia ipotecaria in favore di una sola azienda di credito a fronte della concessione di vari mutui e la vendita di un immobile in favore di un affine in primo grado, oggetto di revocatoria ordinaria.

Il legislatore ha ritenuto di non contemperare nel concordato minore un’udienza di omologa, rimettendo al giudice la decisione sull’omologazione immediatamente dopo lo scadere del termine per la comunicazione delle dichiarazioni di adesione o non adesione. In realtà, tuttavia, lo stesso art. 80, comma terzo, prevede che, in presenza di contestazioni sulla convenienza della proposta, il giudice debba aprire una qualche forma di interlocuzione con il debitore e l’OCC

LA VOTAZIONE

L’art. 11 della L. 3/2012 prevede che la votazione avvenga per il tramite dell’organismo di composizione della crisi, al quale i creditori debbono far pervenire, anche per telegramma o per lettera raccomandata con avviso di ricevimento o per telefax o per posta elettronica certificata, la dichiarazione sottoscritta del proprio consenso alla proposta, almeno dieci giorni prima dell’udienza. In mancanza si ritiene che abbiano prestato consenso alla proposta. Una delle novità della riforma è data dal fatto che a norma dell’art. 79 del Codice della Crisi, la maggioranza per l’approvazione del concordato preventivo è quella assoluta, i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi al voto. Opera nel concordato minore il meccanismo del cosiddetto “silenzio assenso”, con la conseguenza che la mancata trasmissione da parte del creditore della propria dichiarazione di voto sarà computata come espressione di voto favorevole.

I creditori muniti di pegno, ipoteca o privilegio dei quali la proposta prevede l’integrale pagamento non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza e non hanno diritto di esprimersi sulla proposta, salvo che non rinuncino in tutto o in parte al diritto di prelazione. Laddove, invece, ne sia prevista la soddisfazione non integrale, essi hanno diritto di votare, solo per quella parte del proprio credito non soddisfatto. A questi ultimi creditori deve essere assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui quali insiste la causa di prelazione, come attestato dagli OCC. Non hanno diritto di esprimersi e non sono computati ai fini del raggiungimento della maggioranza il coniuge del debitore, i suoi parenti e affini fino al quarto grado, i cessionari o aggiudicatari dei loro crediti da meno di un anno prima della proposta.

Una volta raggiunto l’accordo l’OCC o il professionista nominato, deve redigere una relazione sui consensi espressi e sul raggiungimento delle percentuali, da comunicare ai creditori. Detto elaborato deve indicare:

  • I creditori ammessi al voto;
  • Il rispettivo credito;
  • L’eventuale consenso espresso;
  • Le modalità di espressione del voto.

Nel termine di dieci giorni dalla ricezione della relazione, i creditori possono sollevare contestazioni, a patto che abbiano espresso il loro dissenso, siano estranei ovvero non inclusi e nell’ipotesi in cui dovessero emergere fatti nuovi o non conosciuti rispetto al momento in cui il consenso è stato prestato.

Scaduto quel termine l’OCC trasmetterà al giudice la relazione, con le eventuali contestazioni ricevute, unitamente alla attestazione definitiva sulla fattibilità. Spetta al giudice (entro sei mesi dalla presentazione della proposta):

  • La verifica dei requisiti soggettivi ed oggettivi;
  • La decisione sulle contestazioni;
  • La verifica dell’effettivo perfezionamento dell’accordo.

In caso di esito positivo della superiore verifica, il giudice –con decreto- omologa l’accordo e ne dispone la pubblicazione. In caso negativo emette un provvedimento di diniego. L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità. I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

L’accordo omologato è obbligatorio per tutti i creditori anteriori al momento in cui è stata eseguita la pubblicità. I creditori con causa o titolo posteriore non possono procedere esecutivamente sui beni oggetto del piano.

Gli effetti dell’accordo omologato vengono meno:

  • In caso di sua risoluzione;
  • In caso di mancato pagamento dei crediti impignorabili.

La sentenza di fallimento pronunciata a carico del debitore risolve l’accordo. Gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione dell’accordo omologato non sono soggetti all’azione revocatoria. A seguito della sentenza che dichiara il fallimento, i crediti derivanti da finanziamento effettuati in esecuzione o in funzione dell’accordo omologato sono prededucibili.

IL PROCEDIMENTO DI OMOLOGA

Verificato il raggiungimento della maggioranza, il procedimento di omologazione si apre in via automatica. Sia in presenza di contestazione dei creditori sia in caso di rilievo d’ufficio di profili di criticità attinenti l’ammissibilità, la fattibilità o il raggiungimento della maggioranza, apparirà inevitabile aprire una fase di contraddittorio pieno, con la convocazione delle parti dinanzi al tribunale, non apparendo opportuno risolvere tali problematiche mediante un semplice scambio di memorie scritte.

L’eventuale opposizione potrebbe essere incardinata mediante un messaggio di posta elettronica e questo induce a concludere che non sia necessaria una difesa tecnica per l’opponente. Dall’ambito dei creditori legittimati ad opporsi all’omologa risulta espressamente escluso il creditore che “ha colpevolmente determinato la situazione di indebitamento o il suo aggravamento”.

Particolarmente rilevante è l’art. 80 terzo comma del Codice della Crisi, secondo cui:

Il giudice omologa altresì il concordato minore anche in mancanza di adesione da parte della amministrazione finanziaria quando l’adesione è definitiva ai fini del raggiungimento della percentuale prevista”. In sostanza si potrà tener conto della relazione dell’OCC sulla eventuale convenienza della proposta, rispetto alla alternativa liquidatoria.

Al decreto di rigetto dell’omologa potrà far seguito la declaratoria di apertura della liquidazione controllata, in presenza di istanza del debitore nonché – ma unicamente in caso di frode – del creditore o del PM.

L’omologazione del concordato minore produce i suoi effetti anche per i soci illimitatamente responsabili, mentre non pregiudica i diritti dei creditori nei confronti dei coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso, salvo che sia diversamente previsto. L’esdebitazione è relativa alle sole obbligazioni assunte dalla società.

La fase di esecuzione del concordato minore viene rimessa alla vigilanza dell’OCC. Viceversa il debitore è tenuto “a compiere ogni atto necessario a dare esecuzione al piano omologato”.

Al termine dell’esecuzione l’OCC, sentito il debitore, deve presentare al giudice il rendiconto la cui approvazione comporta la liquidazione del compenso dell’OCC. In caso di mancata approvazione del rendiconto “il giudice indica gli atti necessari per l’esecuzione del concordato ed un termine per il loro compimento”. Si puntualizza che “se il giudice non approva il rendiconto, può escludere il diritto al compenso”.

INEFFICACIA DELL’ACCORDO

Il Codice della Crisi prevede due rimedi alle patologie sopravvenute in corso d’opera: la risoluzione e la revoca, innovando profondamente la previgente disciplina contenuta nella legge 3/2012.

I casi previsti di risoluzione del concordato minore (art. 81):

  • Il mancato adempimento delle prescrizioni dettate dal giudice al momento in cui non approva il rendiconto indicando gli “atti necessari per l’esecuzione”;
  • La mancata esecuzione integrale del piano e nella sopravvenuta inattuabilità dello stesso accompagnata dalla impossibilità di apportare le necessarie modifiche.

Dal tenore della norma citata emerge che la risoluzione potrà essere dichiarata dal giudice d’ufficio, ferma restando la possibilità di procedere in tal senso anche in caso di istanza del creditore, del PM e di qualsiasi altro interessato. La decisione dovrà essere preceduta da una fase in contraddittorio con il debitore e sfocerà in una sentenza reclamabile (ex art. 50).

La revoca, viene a prendere il posto sia della revoca sia dell’annullamento previste dalla L. 3/2012.

Le ipotesi specificamente elencate contemplano condotte di:

  1. Doloso o colposo grave aumento o diminuzione del passivo;
  2. Dolosa o colposa sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo;
  3. Dolosa simulazione di attività inesistenti.

Il parametro di riferimento deve essere costituito dalla idoneità delle alterazioni, dissimulazioni o sottrazioni ad incidere sulla corretta rappresentazione dei fatti da parte dei creditori, influenzandone la conseguente espressione di voto. Il rimedio della revoca risulta assoggettato ad un termine di decadenza della durata di sei mesi, peraltro decorrenti dalla approvazione del rendiconto.

Sul piano procedurale l’apertura del procedimento di revoca può anche avvenire d’ufficio da parte del giudice. Oltre che su iniziativa ufficiosa del giudice, la revoca dell’omologazione può essere richiesta anche dai creditori, dal PM o “da qualsiasi altro interessato”.

L’ultimo comma dell’art. 82 puntualizza che la revoca dell’omologazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede.

LA CONVERSIONE IN PROCEDURA LIQUIDATORIA

La revoca e la risoluzione del concordato minore possono dar luogo all’apertura della procedura di liquidazione controllata, con un meccanismo che il legislatore definisce “conversione” e disciplina all’art. 83, ultimo comma del Codice della Crisi.

L’apertura della liquidazione controllata presuppone una specifica istanza, riservata al debitore, mentre può essere formulata dai creditori o dal PM nei casi in cui “la revoca o la risoluzione consegue ad atti in frode o ad inadempimento”.

Una ulteriore ipotesi di revoca è costituita dalla “mancata ottemperanza alle prescrizioni dettate dal giudice, in quanto ritenute dallo stesso necessarie per l’esecuzione del concordato”. La legittimazione dei creditori o del PM per richiedere la revoca è sempre sussistente nei casi di revoca dell’omologazione derivante da condotte dolose del debitore.

LA LIQUIDAZIONE CONTROLLATA

La liquidazione controllata è la procedura concorsuale omologa alla liquidazione giudiziale e riguarda il debitore che versi in una condizione di sovraindebitamento. Riguarda i consumatori, i professionisti e tutti gli imprenditori “minori”.

Nell’art. 70, comma decimo del Codice della Crisi ci si imbatte in questo passaggio:

“In caso di diniego dell’omologazione, il giudice provvede con decreto motivato e dichiara l’inefficacia delle misure protettive accordate; su istanza del debitore, verificata la sussistenza dei presupposti di legge, dichiara aperta la procedura liquidatoria”.

L’articolo in commento prevede uno scambio di binario tra il procedimento introdotto dal piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore sovra indebitato e quello di liquidazione controllata del suo patrimonio che si attua su istanza del debitore o, in caso di frode, di un creditore o del PM e presuppone il diniego dell’omologazione del piano del consumatore.

I beni non ricompresi nella liquidazione sono i seguenti:

  • I crediti impignorabili ai sensi dell’art. 545 C.P.C.;
  • I crediti di carattere alimentare e di mantenimento, gli stipendi, le pensioni, i salari e ciò che il debitore guadagna con la sua attività, nei limiti, indicati dal giudice, di quanto occorra per il mantenimento suo e della sua famiglia;
  • I frutti derivanti dall’usufrutto legale sui beni dei figli, i beni costituiti in fondo patrimoniale e i frutti di essi;
  • Le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge.

La domanda del debitore che vuole accedere alla liquidazione controllata può essere depositata da lui personalmente, quindi senza assistenza di un legale, con l’assistenza dell’OCC.

L’OCC nei sette giorni dal conferimento dell’incarico da parte del debitore, ne dà notizia all’agente della riscossione e agli uffici fiscali competenti sulla base dell’ultimo domicilio fiscale dell’istante.

Nel silenzio della legge, l’apertura della liquidazione controllata a carico di una società con soci illimitatamente responsabili non può coinvolgere, a differenza della liquidazione giudiziale, i soci.

Con la sentenza di apertura della procedura di liquidazione controllata, il tribunale:

  1. Nomina il giudice delegato;
  2. Nomina il liquidatore;
  3. Ordina al debitore il deposito entro sette giorni dei bilanci e delle scritture contabili e fiscali obbligatorie, nonché dell’elenco dei creditori;
  4. Ordina la consegna o il rilascio dei beni mobili e immobili facenti parte del patrimonio di liquidazione, salvo che non ritenga, in presenza di gravi e specifiche ragioni, di autorizzare il debitore o il terzo a utilizzare alcuni di essi. Il provvedimento è titolo esecutivo ed è posto in esecuzione a cura del liquidatore;
  5. Dispone l’inserimento della sentenza nel sito internet del tribunale o del Ministero della giustizia;
  6. Ordina la trascrizione della sentenza presso gli uffici competenti.

Il liquidatore, sin dal momento della apertura della liquidazione controllata, ha la legittimatio ad processum per quanto riguarda tutte le azioni di diritto patrimoniale già facenti capo al debitore, con esclusione dei diritti personali.

Anche nell’ambito della liquidazione controllata si applicherà l’art. 150 del codice della crisi, sicché, salva diversa disposizione di legge, dal giorno della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale, nessuna azione individuale esecutiva o cautelare, anche per crediti maturati durante la liquidazione giudiziale, può essere iniziata o proseguita sui beni compresi nella procedura. Ci si riferisce a tutti gli strumenti cautelari, sia quelli destinati alla cautela di diritti reali o personali di godimento su detti beni, sia quelli destinati a cautelare diritti di credito pecuniario.

Ai sensi dell’art. 151 del codice, nel rispetto del principio della par conditio, l’apertura della liquidazione controllata segna l’apertura del concorso dei creditori sul patrimonio del debitore; creditori che dovranno sottostare, al fine di poter partecipare al ricavato della liquidazione dei beni del debitore, al procedimento di ammissione al passivo, salva diversa disposizione di legge.

L’ultimo comma dell’art. 270 del Codice della Crisi ha previsto la sospensione ex lege, con efficacia ex nunc, del contratto al momento della apertura della liquidazione controllata.

L’art. 271, rubricato “concorso di procedure”, ha ad oggetto il coordinamento della liquidazione controllata chiesta da un creditore o dal PM con una delle due procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento. In particolare, l’articolo in commento è espressivo del favor con il quale il legislatore delegato guarda alle procedure di risoluzione negoziale della crisi da sovraindebitamento, preferendole alla liquidazione controllata nel caso in cui quest’ultima non sia una scelta del debitore.

L’art. 272 del codice dispone che entro trenta giorni dalla comunicazione della sentenza che apre la liquidazione controllata il liquidatore provvede all’aggiornamento dell’elenco dei creditori, ai quali deve notificare la sentenza. Entro il termine di novanta giorni dall’apertura della liquidazione controllata il liquidatore completa l’inventario dei beni del debitore e redige un programma di liquidazione, specificando i tempi e le modalità di esecuzione. Il programma è depositato in cancelleria ed è approvato dal giudice delegato.

Si deve notare che la formazione dello stato passivo, in assenza di contestazioni o osservazioni da parte dei creditori, è atto esclusivo del liquidatore: non è previsto alcun intervento da parte del giudice delegato ed esso deve considerarsi perfetto ed efficace con il deposito in cancelleria, avendo il successivo adempimento pubblicitario solo un valore “notiziale”. Con l’apertura della liquidazione controllata, il debitore perde la legittimazione processuale: il liquidatore può esercitare le azioni che già erano nel patrimonio del debitore, allo scopo di recuperare attivo nell’interesse dei creditori ammessi nello stato passivo; parallelamente può proseguire le azioni già intraprese dal debitore, finalizzate al recupero dei beni e dei crediti. Il liquidatore deve essere autorizzato dal giudice delegato.

Il liquidatore ha l’amministrazione dei beni del debitore che ricadono nel procedimento di liquidazione controllata. Alla fine della liquidazione, il liquidatore presenta il rendiconto al giudice delegato che lo approva se il programma è stato diligentemente eseguito e se gli atti compiuti dal liquidatore sono stati conformi ad esso. Se non approva il rendiconto, il giudice delegato indica al liquidatore gli atti che restano da compiere e il termine entro il quale devono essere compiuti, pena, in caso di inadempimento, la sua sostituzione e l’esclusione del diritto al compenso.

La liquidazione controllata si chiude formalmente con decreto del giudice delegato che con esso autorizza il pagamento del compenso del liquidatore.

L’ESDEBITAZIONE

Ai sensi del primo comma dell’art. 278 del Codice della Crisi, l’esdebitazione consiste nella liberazione dei debiti e comporta la inesigibilità dal debitore dei crediti rimasti insoddisfatti nell’ambito di una procedura concorsuale che prevede la liquidazione dei beni. Tale disposizione rende inesigibile la parte di credito che non è stata soddisfatta in seguito al procedimento di liquidazione giudiziale o che non si sarebbe potuta soddisfare anche se il creditore vi avesse partecipato.

L’esdebitazione della società di persone ha efficacia anche per i soci illimitatamente responsabili, ma non per i coobbligati del debitore, per i suoi fideiussori o per gli obbligati in via di regresso.

A differenza della esdebitazione del debitore sottoposto alla liquidazione giudiziale, la esdebitazione del sovraindebitato sottoposto alla liquidazione controllata opera di diritto e l’effetto è analogo a quello della completa esecuzione del piano del consumatore o del concordato minore.

Ottenuta l’esdebitazione, risorge l’obbligo in capo al debitore se, entro quattro anni dal decreto del giudice, sopravvengono utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non superiore al 10 per cento. L’OCC ha la responsabilità di vigilare sull’eventualità che nel patrimonio del debitore, dopo la concessione del decreto di esdebitazione totale e nell’arco di quattro anni successivi ad esso, vi siano sopravvenienze utili a soddisfare nella percentuale minima del dieci per cento i creditori e che le dichiarazioni del debitore dalle quali poter valutare la sussistenza di tali sopravvenienze siano depositate nei tempi stabiliti dal tribunale.

LA DISCIPLINA PENALE

Il tratto comune a tutte le fattispecie penali descritte dall’art. 344 del Codice della Crisi è la natura di reati propri, rispettivamente del debitore sovra indebitato e del componente dell’OCC e la loro perseguibilità d’ufficio. Ciò posto, nella specifica prospettiva penalistica va rammentato che la natura di reato proprio delle condotte delittuose previste non esclude ovviamente la possibilità del concorso dell’extraneus; assume al riguardo particolare rilievo il tema del concorso del professionista che assista il debitore nella fase di accesso alle procedure. Non è invece prevista la possibilità di estendere la responsabilità penale ad altri soggetti, diversi dall’amministratore, con ruoli nell’ambito di imprese collettive.

Va prima di tutto rilevato come questo reato sia di natura sussidiaria atteso che esso è configurabile, salvo che il fatto costituisca più grave reato. Il reato è istantaneo in quanto si consuma nel momento in cui viene posta in essere una delle condotte previste.

E’ configurabile, per tutte le fattispecie delittuose previste dall’art. 344 del Codice della Crisi, la particolare tenuità del fatto sempreché sia applicabile l’art. 131 bis c.p. tenuto conto che la pena edittale prevista nel massimo per tali illeciti penali non è superiore nel massimo a cinque anni.

Quanto ai rapporti tra le fattispecie, alla luce di quanto stabilito dalla sentenza Cass. Pen. Sez. Unite 27 gennaio 2011 n. 21039:

“È da ritenersi pacifico che ad ogni lettera dell’art. 344 corrisponde un distinto reato, per cui la commissione di più fatti rientranti in lettere diverse comporta la commissione di una pluralità di reati, ai quali si applica, sussistendone i relativi presupposti, la disciplina della continuazione di cui all’art. 81, comma primo C. P.”.

  • Le condotte di cui al primo comma lett. A). Detta norma prevede tre condotte fraudolente alternative: (1) aumento o diminuzione del passivo; (2) sottrazione o dissimulazione di una parte rilevante dell’attivo; (3) simulazione di attività inesistenti. Trattasi di condotte idonee a influire, secondo le peculiarità del caso concreto, sulla verifica del presupposto della sussistenza del sovraindebitamento o sulla formazione del consenso dei creditori nei casi in cui è previsto. In queste ipotesi il bene protetto garanzia patrimoniale viene in considerazione sotto il profilo del diritto dei creditori di subire gli effetti di una procedura destinata tendenzialmente all’esdebitazione del debitore, per la parte dei debiti non pagata, solo in presenza di una reale situazione di sovraindebitamento e sotto il profilo strumentale del diritto dei creditori di esprimere, nel caso in cui sia richiesto, il relativo consenso sulla base di una corretta rappresentazione dei valori ossia di esprimere un consenso correttamente informato. Condotte relative a beni di modesto valore non hanno alcuna rilevanza penale.
  • Le condotte di cui al primo comma lett. B). Sono quelle di falsificazione, occultamento, sottrazione o distruzione di documenti contabili “al fine di ottenere l’accesso alle procedure”. La norma fa riferimento solo a condotte di falsificazione materiale (contraffazione o alterazione) e di occultamento e sottrazione fisica senza alcun riferimento al falso ideologico e alla tenuta dei libri e delle altre scritture contabili al fine di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari.
  • Le condotte di cui al primo comma lett. C). La norma punisce il debitore sovraindebitato che nel corso della procedura effettua pagamenti in violazione del piano di ristrutturazione dei debiti o del concordato minore omologati. Non integrano quindi il reato i pagamenti eseguiti prima e nel corso della procedura di liquidazione controllata nonché i pagamenti eseguiti prima dell’apertura della procedura di ristrutturazione dei debiti e di concordato minore ed anche dopo la loro apertura ma prima dell’intervenuta omologa. E’ coerente con questa lettura che il reato sia configurato sul piano soggettivo come reato a dolo generico e non, come la bancarotta preferenziale, a dolo specifico.
  • La condotta di cui al primo comma lett. D). E’ previsto che integra reato l’aggravamento della posizione debitoria durante la procedura, ossia dall’apertura e fino all’avvenuta integrale esecuzione o eventuale risoluzione, di ristrutturazione dei debiti del consumatore o del concordato minore. La ratio della norma è quella della tutela delle prospettive di soddisfacimento dei creditori.
  • La condotta di cui al primo comma lett. E). Norma di chiusura che prevede la rilevanza penale dell’intenzionale non rispetto dei contenuti del piano di ristrutturazione dei debiti o del concordato minore. Dette condotte devono incidere in modo significativo sulle prospettive di soddisfacimento dei creditori.
  • Le condotte di cui al secondo comma dell’art. 344 del Codice della Crisi. Il debitore persona fisica che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, neppure in prospettiva futura e che sia meritevole può proporre al tribunale domanda di esdebitazione. Il beneficio è concedibile per una sola volta, previa verifica dell’assenza di atti di frode e della mancanza di dolo o colpa nella formazione del passivo e in ogni caso, se nell’arco dei quattro anni sopravvengono utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori nella misura di almeno il 10 per cento, il debitore deve procedere ai pagamenti. Tal che ne consegue che la reclusione da sei mesi a due anni e della multa da 1.000,00 a 50.000,00 euro è configurabile anche nel debitore incapiente che vuole accedere al beneficio della esdebitazione che produce documentazione contraffatta o alterata o sottrae, occulta o distrugge, in tutto o in parte, la documentazione relativa alle sopravvenienze rilevanti. Con tale definizioni si intendono: (1) utilità rilevanti che consentano il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore al 10 per cento fermo restando che non sono considerabili i finanziamenti, in qualsiasi forma erogati; (2) le spese di produzione del reddito e quanto occorrente al mantenimento del debitore e della sua famiglia in misura pari all’assegno sociale aumentato della metà moltiplicato per un parametro corrispondente al numero dei componenti il nucleo familiare della scala di equivalenza ISEE.

I REATI DEL COMPONENTE DELL’OCC.

Ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 344 sono previsti i reati di falso ideologico e di omissione o rifiuto di atti d’ufficio del componente dell’OCC in relazione ai compiti assegnati nell’ambito delle procedure di ristrutturazione dei debiti del consumatore, concordato minore, liquidazione controllata ed esdebitazione. La previsione, pur diversamente formulata, richiama quella sulla responsabilità dei professionisti attestatori. E’ prevista la pena detentiva da sei mesi a due anni di reclusione e la pena pecuniaria da sei mesi a due anni.

Ai sensi dell’art. 345 del Codice della Crisi si prevede quanto segue:

“il componente dell’OCC che nell’attestazione di cui all’art.19 espone informazioni false ovvero omette di riferire informazioni rilevanti in ordine alla veridicità dei dati contenuti nel piano o nei documenti ad esso allegati, è punito con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da 50.000,00 a 100.000,00. Se il fatto è commesso al fine di conseguire un ingiusto profitto per sé o per altri, la pena è aumentata. Se dal fatto consegue un danno per i creditori la pena è aumentata fino alla metà”.

E’ configurabile, per tale fattispecie delittuosa, la particolare tenuità del fatto sempreché sia applicabile l’art. 131 – bis c.p. tenuto conto che la pena edittale prevista per tali illeciti penali non è superiore a cinque anni di reclusione.

Per quanto attiene le misure cautelari e quelle interdittive, è applicabile nel caso di specie la custodia cautelare in carcere, oltre le altre misure coercitive, dato che queste misure possono essere applicate quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni. E’ richiesta inoltre l’udienza preliminare ove si proceda in ordine a questo illecito penale atteso che “il PM esercita l’azione penale con la citazione diretta a giudizio quando si tratta di contravvenzioni ovvero di delitti puniti con la pena della reclusione non superiore nel massimo a quattro anni o con la multa, sola o congiunta alla predetta pena detentiva”.

E’ di tutta evidenza la funzione fortemente selettiva che assume l’elemento soggettivo del dolo, sia pure nella forma del dolo generico, richiedendosi in capo all’attestatore la consapevolezza della falsità delle premesse in fatto o della violazione delle regole legali o tecniche di valutazione al di fuori di ogni margine di ragionevole opinabilità. Il principio di offensività impone di delimitare la rilevanza penale della condotta alle ipotesi in cui lo scostamento tra valore espresso e valore corretto sia tale da influire concretamente sull’ammissione alla procedura e sulla formazione del consenso dei creditori, posto che uno spostamento destinato a tradursi in termini infinitesimali sull’entità di soddisfacimento dei singoli creditori deve considerarsi privo di qualsiasi idoneità lesiva.

In caso di omissione: il reato è configurabile in quelle ipotesi in cui l’attività espressamente prevista venga omessa e l’OCC dia impulso alla procedura pretermettendo tale attività. Da ciò deriva che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni e con la multa da 1.000,00 a 50.000,00 euro il componente dell’OCC che omette o rifiuta senza giustificato motivo un atto del suo ufficio purché da ciò derivi un danno ai creditori. Per essere configurabile tale illecito penale, dunque, da un lato è necessario che l’omissione o il rifiuto avvenga senza giustificato motivo, dall’altro che per effetto di tali condotte i creditori subiscano un danno (presumibilmente di natura patrimoniale).

CENNI PROCEDURALI

Il tribunale competente è quello monocratico fermo restando che, quanto alla competenza per territorio, trattandosi di reati istantanei, la competenza “è determinata dal luogo in cui il reato è stato consumato”.

Quanto alle misure cautelari e quelle interdittive, si osserva quanto segue:

  • Non è consentita la custodia cautelare in carcere, né le altre misure coercitive, dato che queste misure “possono essere applicate solo quando si procede per delitti per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a tre anni” (art. 280, comma primo C.P.P,);

Per quel che concerne le misure precautelari, non è configurabile l’arresto obbligatorio in flagranza di reato atteso che si può ricorrere a questa misura solo se taluno è colto in flagranza di un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a venti anni.