CESSIONE DEL CREDITO BANCARIO DETERIORATO E TUTELA DEL DEBITORE
Le operazioni di “cartolarizzazione” sono regolate dalla legge 30 aprile 1999, n. 130 e consistono nella vendita di crediti ad una società che, per pagarne il prezzo di acquisto, emette dei titoli obbligazionari (quindi li trasforma in “carta”, da qui il nome di queste operazioni). Il contratto di cessione di crediti in blocco non risulta soggetto a forme sacramentali o comunque particolari al fine specifico della sua validità (Cass. Civ. n. 5617/2020) e la prova della cessione non sempre può essere fornita con ogni mezzo, o per presunzioni.
La Nozione di NPL (non perfong loans) comprende:
- Le esposizioni scadute e/o sconfinanti che eccedono i limiti di affidamento da 90 giorni;
- Le inadempienze probabili per le quali la banca valuta improbabile che il debitore adempia spontaneamente,
- Le sofferenze che sono le esposizioni verso soggetti in stato di insolvenza o in situazioni sostanzialmente equiparabili.
La cartolarizzazione è un istituto giuridico, o meglio una operazione finanziaria, consistente nella cessione in blocco di crediti, anche futuri, da parte di un’impresa cedente (Originator) a favore di una società cessionaria creata ad hoc. Le parti protagoniste di questa pratica finanziaria sono:
- L’Originator, solitamente una banca o un intermediario finanziario;
- Una società veicolo, anche denominata speciale purpose vehicle SPV;
- Eventualmente può essere presente un servicer, ossia un’altra distinta società di cui si avvale la società veicolo per riscuotere i crediti.
L’Originator cede a titolo oneroso uno o più crediti pecuniari in blocco alla società veicolo che, per procurarsi la liquidità necessaria ad acquisire i crediti di cui sopra, emette dei titoli collocati presso investitori. La società veicolo direttamente oppure utilizzando un servicer, procede alla riscossione dei crediti ceduti. Le somme incassate dai debitori ceduti sono destinate in via esclusiva ai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei titoli.
Dal primo gennaio 2021 è entrata in vigore la nuova definizione di default prevista dal Regolamento europeo relativo ai requisiti prudenziali per gli enti creditizi e le imprese di investimento; la nuova definizione introduce criteri che risultano, in alcuni casi, più stringenti rispetto a quelli finora previsti. Secondo tale impostazione “una controparte è da classificarsi a default nei casi in cui si verifichi almeno una delle condizioni: a) la banca giudica improbabile che, senza il ricorso ad azioni quale l’escussione della garanzia, il debitore adempia integralmente alle sue obbligazioni; b) il debitore è in arretrato da oltre 90 giorni su un’esposizione creditizia rilevante verso la banca”. Al fine di assicurare il successo delle operazioni di cartolarizzazione e favorire lo sviluppo del mercato dei capitali, sono state predisposte una serie di cautele a tutela degli investitori ed è stata prevista la separazione dei crediti acquistati dalla cessionaria, dal patrimonio generale della medesima. La società di cartolarizzazione deve avere quale oggetto sociale esclusivo la realizzazione di una o più operazioni di cartolarizzazione ed i crediti oggetto di ogni operazione costituiscono patrimonio separato (in deroga all’art. 2740 cod. civ.) dal patrimonio generale della società stessa e dagli altri patrimoni relativi ad ogni eventuale operazione di cartolarizzazione perfezionata dalla medesima, con la conseguenza che su ciascun patrimonio non sono ammesse azioni da parte di creditori diversi dai portatori dei titoli emessi per finanziare l’acquisto dei crediti stessi. Tale separazione patrimoniale crea un meccanismo di garanzia patrimoniale per i portatori dei titoli emessi. In sostanza, il flusso di liquidità che l’incasso dei crediti è in grado di generare è funzionale, in via esclusiva, al rimborso dei titoli emessi, alla corresponsione degli interessi pattuiti ed al pagamento dei costi dell’operazione.
Come sopra descritto, la normativa prevede espressamente che i crediti oggetto dell’operazione di cartolarizzazione costituiscono un patrimonio separato. Emerge, quindi, il divieto per il debitore ceduto di compensazione dei crediti “sorti posteriormente” alla data della pubblicazione della notizia sulla G. U.. Il suddetto divieto risponde alla logica di salvaguardia del “patrimonio separato a destinazione separata” che sorge con l’operazione di cartolarizzazione.
SULLA QUALIFICAZIONE DELLA OPERAZIONE DI CESSIONE: la Corte di legittimità, dopo un breve ma incisivo confronto con i motivi che hanno condotto parte della giurisprudenza di merito a ravvisare una successione a titolo particolare della SPV in tutti i rapporti giuridici facenti capo alla cedente e da cui discenderebbe come corollario la possibilità per il debitore ceduto di avanzare le proprie contro-pretese nei confronti della società veicolo, abbraccia il diverso indirizzo valorizzando i tratti caratterizzanti dell’operazione di cartolarizzazione come sopra tratteggiati e chiarendo che la cartolarizzazione ex l. 130 è un’operazione di cessione dei crediti e non dei contratti. Ne consegue che se da un lato al debitore ceduto è impedita la possibilità di avanzare verso la SPV, in via di azione (domanda riconvenzionale) o di eccezione (compensazione), pretese creditorie derivanti dal rapporto che ha originato il credito cartolarizzato, ciò non di meno si deve riconoscere che lo stesso possa bloccare la pretesa creditoria del cessionario, attraverso il rilievo di ogni contestazione sulla validità, sulla quantificazione o sull’esatto adempimento del negozio da cui deriva il credito ceduto.
La cessione dei crediti in ambito bancario è regolata dall’art. 58 T.U.B.. L’ultimo comma della disposizione ha previsto che la disciplina si applica anche alle cessioni in favore dei soggetti, diversi dalle banche, inclusi nell’ambito della vigilanza consolidata ai sensi degli artt. 65 e 109 e in favore degli intermediari finanziari previsti dall’art. 106. Il primo comma dispone: “la banca d’Italia emana istruzioni per la cessione a banche di aziende, di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco. Le istituzioni possono prevedere che le operazioni di maggiore rilevanza siano sottoposte ad autorizzazione della Banca d’Italia.
Con specifico riferimento alla cessione dei crediti, la norma di maggiore rilievo si rinviene ai commi 2, 3 e 4 della disposizione che prevedono:
- La notificazione della cessione mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
- L’iscrizione della cessione presso il Registro delle Imprese;
- La conservazione in capo al cessionario, senza bisogno di alcuna formalità, dei privilegi e delle garanzie ipotecarie stabilite a favore del cedente.
Si precisa che con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e l’iscrizione nel registro delle imprese, la cessione dei crediti diviene opponibile erga omnes senza ulteriori formalità. In altri termini la pubblicazione e l’scrizione nel registro delle imprese sostituiscono, a tutti gli effetti, la notificazione della cessione ai debitori ceduti, secondo la previsione dell’art. 1264 cod. civ.. Inoltre tutte le garanzie, reali e personali che assistono i crediti ceduti, si trasferiscono automaticamente al cessionario, senza la necessità di osservare le speciali formalità richieste dalla legge per il trasferimento delle diverse tipologie di garanzie.
In presenza di credito cartolarizzato ex l. 130/1999 l’attività di recupero del credito può e deve essere svolta solo dalla società vigilata iscritta all’Albo ex art. 106 T.U.B. e che è previamente indicata nell’avviso di cessione pubblicato in G.U. e quindi deve corrispondere alla medesima società citata nei singoli prospetti informativi afferenti tali titoli. Ne consegue che, a fronte di un monitorio e/o di una notifica di un precetto o di un pignoramento per il recupero di un credito cartolarizzato, se il soggetto che agisce in giudizio non corrisponde al soggetto indicato nell’avviso di cessione pubblicato e/o non è una società iscritta all’albo ex art. 106 T.U.B. e del suo incarico non è mai stata data notizia in G.U., lo stesso deve ritenersi non legittimato a tale attività di recupero.
Secondo le Istruzioni di Vigilanza – Titolo III° Capitolo V° Sez. II^ all’art. 1 “la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, nel rendere nota la cessione, deve indicare gli elementi distintivi che consentano l’individuazione dell’oggetto della cessione, quindi del complesso dei rapporti giuridici da trasferire, la data di efficacia della medesima e – ove necessario – le modalità attraverso le quali ogni soggetto interessato può acquisire informazioni sulla propria situazione”.
Cass. civile sez. VI^ 5 novembre 2020, n. 24798: “in caso di contestazione della titolarità del credito in capo alla asserita cessionaria, il mero fatto, pur pacifico, della cessione di crediti in blocco ex art. 58 T.U.B. non è sufficiente ad attestare che lo specifico credito oggetto di causa sia compreso tra quelli oggetto di cessione. La parte che agisca affermandosi successore a titolo particolare della parte creditrice originario, in virtù di un’operazione di cessione in blocco ex art. 58, ha l’onere di dimostrare l’inclusione del credito oggetto di causa nell’operazione di cessione in blocco, in tal modo fornendo la prova documentale della propria legittimazione sostanziale, a meno che il resistente non l’abbia esplicitamente o implicitamente riconosciuta”.
La pubblicazione dell’avviso di cessione in Gazzetta Ufficiale ha, dunque, una funzione meramente informativa e non costitutiva, che si limita a rendere opponibile la cessione in quanto per legge tale adempimento produce solo gli effetti indicati nell’art. 1264 cod. civ. nei confronti dei debitori ceduti e consente il trasferimento delle garanzie connesse al credito ed in alcun modo non costituisce la fonte della titolarità del credito, che rimane l’atto di cessione, per cui dovrà essere prodotto in giudizio a prova della effettiva titolarità del credito, ben considerando che la pubblicità notizia sulla Gazzetta Ufficiale non è soggetta ad un controllo di legalità del contenuto che viene predisposto dalla società cessionaria. Per la giurisprudenza di legittimità e di merito che si sta ultimamente consolidando l’accettazione, anche tacita, della cessione del credito non comporta mai per il debitore il dover adempiere all’obbligazione, trattandosi di mera dichiarazione di scienza priva di contenuto negoziale, restando, dunque, il cessionario onerato di provare la sussistenza e l’entità del credito.
Il contratto di cessione del credito, di natura consensuale, si perfeziona con l’incontro dei consensi tra cedente e cessionario, mentre la pubblicazione della notizia sulla Gazzetta Ufficiale, è funzionale solo agli effetti liberatori del pagamento (da parte del debitore ceduto) o alla regolazione dei conflitti tra plurimi cessionari. Pertanto, se per ipotesi si deve difendere parte opponente da un’ingiunzione di pagamento in danno del presunto debitore ceduto, non sarà sufficiente per chi ingiunge e per provare la legittimazione sostanziale depositare in atti il solo avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale, a fronte di una contestazione sulla carenza di legittimazione e prova della titolarità del credito di cui si asserisce di essere subentrati. Sul punto non ci si dovrà limitare a contestazioni formali e relative alla pubblicità della cessione, ma contestare, nello specifico, la genericità che spesso caratterizza il contenuto degli avvisi e che negli elenchi allegati (molto spesso solo richiamati, ma non riprodotti) all’avviso non sia presente il credito azionato, allora l’opposizione va accolta se, a fronte della specifica contestazione, il procedente non fornisca prova di inclusione diversa dal riferimento all’avviso dell’operazione di cartolarizzazione.
La prova del corretto adempimento degli obblighi informativi che la disciplina comune dell’art. 1264 cod. civ. o, in alternativa, quella speciale di cui all’art. 58 T.U.B. impongono al cedente e al cessionario nei confronti del debitore ceduto spiega i suoi effetti limitatamente in punto di opponibilità della cessione, ma non è di per sé sufficiente a dimostrare né l’effettiva titolarità del diritto né la sussistenza della legittimazione attiva del rivendicante. Pertanto, a questi ultimi fini, il creditore che agisca è tenuto, attraverso la produzione del contratto di cessione, ad allegare il titolo posto a fondamento del trasferimento dello specifico diritto di credito vantato. La produzione del contratto di cessione e dei relativi allegati risulta ancor più necessaria al cospetto di cessioni in blocco, stante la necessità di dimostrare che quello specifico credito controverso rientri nel portafoglio ceduto. E’ pertanto evidente che la creditrice intervenuta è nelle potenzialità di produrre la più precisa documentazione volta a dimostrare che tra i crediti ceduti vi fosse specificatamente anche quello vantato nei confronti di parte opponente, ma in genere non lo fa, ossia non versa in atti l’atto/contratto di cessione completo in ogni sua parte, limitandosi a produrre solo l’avviso generico.
Alla luce di queste considerazioni, si può affermare che la mancata produzione del contratto di cessione può comportare il rilievo, anche d’ufficio, del difetto di legittimazione attiva in capo alla cessionaria. In definitiva, si può ritenere che l’onere della prova in capo alla cessionaria in ordine alla titolarità del credito ceduto stia diventando via via più impegnativo. Ne consegue che, in caso di mancata prova documentale del contratto di cessione, sarà fondamentale rilevare l’inesistenza dello stesso; per l’effetto ne dovrebbero derivare la declaratoria della carenza di legittimazione sostanziale e il difetto della prova della titolarità del credito reclamato in successione da parte del cessionario.
Sul punto la Corte di Cassazione, Sez. Unite sentenza 16 febbraio 2016 n. 2951 ha stabilito che la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicchè spetta all’attore allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione, da parte del convenuto. In aderenza a tale decisione, la Cassazione ha ritenuto che la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa. Spetta sempre e comunque al giudice di merito di verificare se colui che ha intrapreso un procedimento monitorio e/o una procedura esecutiva sia effettivamente legittimato, senza alcuna distinzione di sorta.
Nel procedimento monitorio il giudice è tenuto ad operare una valutazione in merito alla legittimazione del ricorrente, per cui dovrà esaminare la documentazione prodotta dall’asserito creditore cessionario.